Se uno non fosse autolesionista, si drogherebbe? Se uno non fosse autolesionista, racconterebbe i suoi problemi di droga a un giornalista, o a Porta a Porta?
Tutti a stupirsi dell’incoerenza di Morgan, che ama i poeti maledetti ma non disdegna la televisione generalista. In effetti, la dicotomia è straziante. È un ossimoro: non si può essere trasgressivi e integrati al tempo stesso. Ma se uno non avesse dei problemi, se non fosse incoerente, non si drogherebbe nemmeno, non si metterebbe nei guai.
Io a Morgan voglio bene. Non lo so perché. È un affetto istintivo. Le quattro volte che l’ho incontrato, ho sentito di avere a che fare con una persona generosa, intelligente e sensibile. Ma, soprattutto, sono una sua fan: il suo primo album, Canzoni dell’appartamento, è un piccolo capolavoro.
Recita Altrove, una delle canzoni più belle: «C’era una volta un ragazzo / chiamato pazzo / e diceva sto meglio in un pozzo / che su un piedistallo».
Non so da quanto tempo Morgan abbia problemi di droga, ma non credo che il successo popolare, le prime serate, gli possano fare bene. Per quel che ho capito, uno come lui ha bisogno soprattutto di creare, di dirottare la depressione, l’infelicità, il disagio, in qualcosa di creativo e di profondamente autentico e suo, come difficilmente può essere un ruolo in un programma di prima serata, con tutti i compromessi che richiede un ruolo del genere.
Non starò a dire delle responsabilità di chi fa comunicazione, ne è stato già scritto abbondantemente e ne ha parlato con equilibrio Aldo Grasso: se uno parla a tutti, deve fare molta attenzione a quello che dice e ai messaggi che manda. I conti con i propri demoni si fanno in privato, o in un libro, in una canzone, in un’opera d’autore. Fare i conti con i demoni è difficile: a volte è sufficiente il tempo dell’adolescenza, a volte non basta una vita. Molti artisti creano proprio grazie a quei demoni, perché il dolore tocca tutti, e, chi ci ha più familiarità, meglio lo sa comunicare, se è una persona dotata di creatività e talento. Ma la Tv, soprattutto la televisione d’intrattenimento, non è adatta a esprimere il dolore, né la complessità.
«Ho deciso / di perdermi nel mondo / anche se sprofondo», scriveva Morgan nel 2003. Basta ascoltare Canzoni dell’appartamento per intuire chi è Marco Castoldi (il suo vero nome), comprendere la sua inquietudine, capire i suoi disagi che sono i disagi di tanti. Il padre di Morgan si è ucciso quando lui era ragazzo. Morgan l’ha salvato la musica, perché è un musicista davvero bravo e dotato, oltre che una persona colta e buona a cui forse manca qualcosa (chissà che cos’è, un enzima, l’amore, nessuno in fondo sa quale sia la causa della depressione e dell’infelicità, ce ne sono tante) per stare in piedi nel mondo, per tenere la barra. Ed è terribile avere bisogno di un gancio da macellaio, per potersi sorreggere.
Daria Bignardi
