Primadanoi.it, 12 Dicembre 2007
PESCARA. Morgan in concerto al Teatro Circus di Pescara per la pace e i diritti umani. È stato un vero e proprio successo lo show tenuto dall'ex cantante dei Bluvertigo nell'ambito delle celebrazioni per la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, anche se né in conferenza stampa, né durante la performance dal vivo, Morgan ha speso una parola sul perché della sua presenza nel capoluogo adriatico.
E sì che di spettacolo l'artista monzese ne ha offerto non poco, scherzando a più riprese con il pubblico e rileggendo in chiave rigorosamente elettronica tutti i propri pezzi, coadiuvato da Daniele "Megahertz". E proprio dall'idea di questo live così singolare parte la nostra chiacchierata con Morgan.
Come descriveresti il tour che stai attualmente portando in giro per l'Italia?
«Quello che propongo è un concerto un pò particolare: non è come ciò che ho fatto negli ultimi anni insieme ai Bluvertigo. Lo spettacolo che ora porto in scena non ha nulla a che vedere con il senso del gruppo, che mescolava l'elettronica al rock. Dopo essermi separato da Livio, Sergio e Andy, ho scelto di cambiare e così mi sono buttato in un pop classicheggiante. In concerto suono molte cose dal vivo, ma siamo solo in due, e quindi, inevitabilmente, ciò che il pubblico si trova davanti è una roba un po' elettronica».
Qualche esempio?
«Sul palco utilizzo molte tecnologie, tra cui il Midi, che era in voga negli anni '80: nel Midi ci sono più hardware che si legano tra loro, e c'è come un rapporto di sadomasochismo tra le macchine. Io credo che questo spettacolo rappresenti un po' una metafora degli organi del corpo umano, che sono interconnessi tra di loro: anche qui ci sono più elementi che si connettono. E poi, il Midi ha 127 livelli, quindi a livello creativo offre varie possibilità».
Vedo che questo discorso ti affascina molto…
«Lo trovo molto interessante, anche perché ciò che io suono viene filtrato dal fonico, che miscelandolo lo rimanda alle casse: ne consegue che ciò che io e il pubblico ascoltiamo non è esattamente quello che io ho prodotto, ma una sorta di riflesso della mia intuizione. È come se l'idea di me stesso dipendesse da ciò che gli altri mi trasmettono».
E in questo scambio reciproco le macchine vengono ad avere un ruolo attivo…
«Sicuramente sì. Le similitudini tra noi e loro sono tante. Il sistema nervoso è acceso o spento, come il control voltage. Nelle macchine esiste il master ed esiste lo slave, cioè c'è il capo e c'è il servo. Il ritmo del corpo dipende dal cuore, e i polmoni sono gli arpeggiatori. Ecco, io credo che l'uso delle macchine nell'elettronica sia come il rapporto tra cuore, muscoli e cervello. Però le macchine hanno qualcosa in meno rispetto a noi: non sono dotate di liquidi. Se ci fossero i liquidi, le macchine potrebbero cadere in depressione, e sarebbero meno prevedibili. Secondo me, nel futuro le macchine avranno al loro interno sangue e acqua, e funzioneranno meglio. Ora ogni tanto si inceppano, e forse ciò è dovuto anche alla mancanza di liquidi. In concerto, con loro, a volte mi va bene, altre volte no: questo comporta che spesso ci siano tempi morti».
È un bene o un male, secondo te?
«Dipende dai punti di vista. Secondo me è un bene. Nel 1989 andai a vedere David Bowie a Modena, e mi ricordo che lui era incazzatissimo perché non gli andava bene nulla di ciò che stava accadendo. Cominciava le canzoni e le interrompeva dopo poco, insultando i suoi tecnici. In quel concerto c'erano molti tempi morti. A me tutto questo è piaciuto molto, mi ha interessato, mentre i più se ne sono andati ritenendo fallimentare un'esibizione del genere».
In Italia sei uno di quelli che hanno riportato in auge il Theremin, e anche in questo spettacolo lo usi. Che rapporto hai con questo strumento?
«Un rapporto bellissimo: ne ho uno piccolino, con il quale gioca mia figlia. Lo uso perché è lo strumento base dell'elettronica, e perché mi piace il fatto che "suoni l'aria". Theremin era uno scienziato geniale: peccato che, oltre ad aver inventato questo strumento, sia stato anche – involontariamente – l'ideatore dei campi di concentramento, visto che ha creato anche il filo spinato e le cimici! Comunque Theremin è un personaggio che ammiro molto: con Max Gazzè facevamo interminabili discussioni su di lui. Io parlavo di Theremin, e Max mi parlava di Tesla, sua grande passione».
In definitiva, Morgan, come ti è venuta questa idea basata sulla contrapposizione organismo-strumenti elettronici, considerando anche che il tuo ultimo cd, "Da A ad A", è basato su una presenza importante dell'orchestra?
«Le idee vengono fuori dal "divertimento" nel senso di divergere, cioè quando stai pensando ad altro. Vengono quando si cambia rotta. La conoscenza, l'esperienza, la frequentazione del mondo… tutto è interessante, ed è da questo che scaturiscono le idee. "Da A ad A" è un lavoro che ha molte sfaccettature, ed effettivamente questo live è diverso dalle sonorità sulle quali è impostato il cd. Però bisogna considerare una cosa che lega idealmente questi elementi: io compongo da sempre con il computer. Lo faccio da quando ho comprato il mio primo Atari».
Come componi?
«Per comporre non ho bisogno di strumenti: ho tutto in testa, anche perché sono convinto che una persona sappia già se una struttura linguistica funzioni o no. Il computer è la cosa migliore per fare degli schizzi. Non è stato da meno il processo di scrittura di "Da A ad A": è vero, in questo disco ho pensato di utilizzare l'orchestra, ma ho scritto tutto al computer, e poi ho dato le partiture ai musicisti. Fondamentalmente, in questo tour suono i provini delle mie canzoni. Ho reinventato tutti i pezzi dall'87 ad oggi. Tutto questo in previsione di un ritorno con i Bluvertigo, dove le cose dovranno necessariamente essere diverse».
Pochi giorni fa è morto Stockhausen, un maestro dell'elettronica: cosa ne pensi della combinazione dell'elettronica con altri generi musicali?
«Credo che l'elettronica nel pop sia commerciale, ma a tratti ci sono cose molto belle. Invece l'elettronica nella classica, tipo Stockhausen, mi piace solo ascoltarla: non trovo che sia così incisiva come può esserlo nel pop».
Noi siamo a Pescara, città dove fatica ad affermarsi una scena musicale vera e propria. Secondo te in provincia è più difficile emergere?
«Non penso che sia questo il nocciolo della questione. Il problema di una scena che non riesce a svilupparsi è un problema tutto italiano, non solo di Pescara: a Milano non c'è niente, a Roma meno del meno. La situazione è deprimente, ci sono modelli sbagliati. Non si comprano dischi, non frega niente a nessuno della musica. Se vai a Londra vedi che tutti suonano, c'è una maggiore offerta, un maggiore interesse, la musica è più presente nella testa delle persone. Milano, che può essere un "mito" per chi vive in provincia, in realtà è arida, ed è la migliore proposta che abbiamo nel nostro Paese. Non c'è per niente la cultura della bellezza. Manca la capacità di produrre cultura di prima mano: al contrario, qui in Italia spiccano le imitazioni».
Colpa anche delle case discografiche?
«I discografici sono interessati solo a ciò che vende. Non capiscono niente di musica: ascoltano Frank Zappa, ma uno così non lo produrrebbero mai. Quando io ho presentato "Da A ad A", mi è stato detto che "Tra cinque minuti" era un pezzo su cui si poteva lavorare, ma non perché fosse il migliore del disco, bensì perché era il meno peggio. Mi è stato detto che la mia musica non è nuova ed è difficile: un'affermazione contrastante, secondo me, perché è difficile la musica nuova, non quella vecchia. La verità è che il discografico che avevo davanti non riusciva a capire come vendere questa musica. Ma forse aveva ragione lui, perché questo disco non si vende».
Le radio ci mettono del loro?
«Le radio commerciali sono inascoltabili: non c'è più una musica. Si ascoltano sempre le stesse canzoni: ma perché? Io non vedo mica un film 10 volte al giorno! Il mio consiglio è: fregarsene dei riferimenti e pensare di non stare in questo mondo. Io sono sempre stato in contrasto con questo mondo, e infatti sono riuscito a fatica a fare dischi. Poi ci si mette anche la politica, che è totalmente disinteressata al bello».
Come ti poni nei confronti della politica? Hai mai pensato di "scendere in campo"?
«Dico subito che io sono uno che si interessa di politica: non sono di quelli che si lamentano che fa tutto schifo. E dico anche che io questo governo me lo sognavo la notte. Però, se decidessi di entrare in politica, lo farei per stare in Parlamento, dove andrei volentieri, non lo farei di certo per "tirare la volata" a qualcuno. Vittorio Sgarbi ha provato più volte a coinvolgermi, ma io continuo a rimbalzarlo perché lo ritengo un furbacchione, uno molto intelligente, che vuole usarmi solo come testimonial. Ma io non sono disposto ad apparire sui manifesti insieme a lui, soprattutto per quello che la gente pensa di lui. Sgarbi è una persona molto colta, ma con la quale si può parlare tranquillamente solo di arte e letteratura».
In conclusione, Morgan: tu nel 2000 cantavi "Ti piace Springsteen? Non c'è problema". Cosa volevi dire?
«Secondo te cosa volevo dire?».
Che anche se abbiamo gusti musicali diversi, siamo amici lo stesso….
«Bravo!».
Massimo Giuliano
Fonte
La Repubblica, 27 Ottobre 2007
C' è chi, alludendo all' abilità con la quale rielabora suoni e ispirazioni altrui, lo presenta come un "reinventore", ma Marco Castoldi, alias Morgan - stasera in cima al cartellone esposto all' Hiroshima - non mostra di gradire un granché tale appellativo: «Non so che cosa si voglia intendere con quella parola e non credo nemmeno che si trovi sul dizionario della lingua italiana. In ogni caso, posso tranquillamente affermare di essermi speso molto di più come autore che non come interprete di musica altrui. E allora che cosa si dovrebbe dire di uno come Muti?».
Rimane comunque il fatto che Da A Ad A, il suo ultimo lavoro, è pieno zeppo di richiami e riferimenti colti, da Bach e Wagner ai Beatles e Battiato, e da Erasmo da Rotterdam a Borges e Camus. Non è quel che si dice «mettere troppa carne al fuoco»?
«Può darsi, ma certo non posso controllarmi più di tanto quando mi vengono delle idee e sento l' impulso di svilupparle in un modo o nell' altro. Certo queste non nascono dal niente. Ciascuno di noi è il risultato di tutto ciò che è accaduto prima. La scienza infusa non esiste e noi siamo tanto più bravi quanto più riusciamo a creare delle relazioni con gli altri e a farci penetrare dalle loro opere. A prescindere dall' epoca in cui sono state prodotte. Piuttosto, sarebbe molto più onesto che tutti riportassero le loro fonti, cosa che il più delle volte non viene fatto, per pura e semplice ignoranza o anche soltanto per imbarazzo».
Di certo non dev' essere facile trasferire in un concerto dal vivo la complessità di suoni e di arrangiamenti che si possono realizzare in uno studio di registrazione. Fortuna che con i marchingegni digitali ha una discreta dimestichezza, no?
«Beh, quello in effetti è il mio pane quotidiano fin da quando ero ragazzino. Pensi che, mentre i miei compagni di scuola si trovavano per giocare a pallone, io imparavo a scrivere su una tastiera Atari, e che il mio interesse per qualsiasi arnese elettronico è andato sempre aumentando con il passare degli anni. Ho da poco costruito un' apparecchiatura che mette insieme tecnologie degli anni 80 e di oggi e non prima di aver fatto letteralmente esplodere un computer. Un incidente da Frankenstein o da Archimede Pitagorico dei fumetti che fotografa assai bene il mio rapporto artigianale con le macchine. L' elettronica del resto è quanto di più concreto esista al mondo. Io scrivo musica proprio in questo modo, trafficando con ogni sorta di cavi e apparecchi e stavolta voglio far ascoltare le versioni originali e grezze delle mie canzoni, da quelle registrate con i Bluvertigo fino ad oggi».
Nell' ultimo disco ha avuto una piccola parte anche sua figlia Anna Lou: visto quanto possono essere sorprendenti i bambini, non è che abbia già preteso di accompagnarla su un palco?
«Lei no, piuttosto è stata Asia (Argento, ndr), sua madre, ad averla già spinta in scena, e ad essere sincero la cosa non m' è piaciuta molto, perché l' ha solo messa in imbarazzo. Il mio impegno è di non incoraggiarla a recitare almeno fino a che non avrà compiuto diciott' anni».
Elio Bussolino
Corriere della Sera, 30 Agosto 2007
Scimmie, Domani sul palco il cantautore milanese
Dal vecchio Morgan al nuovo Morgan. Il cantautore milanese (nella foto) preferisce non parlare delle pene d' amore con la sua compagna, l' attrice Asia Argento - «non ho più la forza per farlo» - e in attesa di voltare pagina cambia look. Zac, un taglio netto alla folta chioma nera: «Ora somiglio un po' a George Clooney e un po' al Tom Cruise dei tempi di "Top Gun"». L' occasione per vederlo e ascoltarlo è domani sera sui Navigli: «Le Scimmie è un locale speciale, dove posso fare quello che mi va». Così il recital non ha una vera scaletta. Si comincia con brani dall' ultimo album «Da A ad A» alternati alle cover che più lo hanno ispirato: «Ci saranno De André, i cantautori italiani ma anche John Lennon, i King Crimson e i Pink Floyd». Appena rientrato da una tranquilla («e un po' noiosa») vacanza in Val di Fassa («ho passato notti a fare il karaoke»), Morgan si concede ora lunghe passeggiate in città («mi piace perdermi, osservare le persone soprattutto quando sono ferme ai semafori»). Nel concerto di domani sarà da solo, almeno all' inizio. «Se qualche sconosciuto musicista vuole farmi compagnia sul palco è bene accetto, purché suoni uno strumento elettronico: l' ideale sarebbe un theremin o un sintetizzatore modulare monofonico»».
SeverinoColombo
Fonte
La Repubblica, 30 Agosto 2007
"Se c´è in sala uno che sa suonare mi dia una mano" Affascinato Amo questa città con le sue architetture così diverse. E ogni mese visito il Cenacolo
«Un artista dev' essere a suo modo sempre versatile, in grado di cambiare a seconda dei luoghi e delle circostanze», dice Morgan. Così, domani sera, dopo un' estate spesa tra vacanze e concerti in piazze e teatri d' Italia, l' ex leader dei Bluvertigo cambia palcoscenico e torna dal vivo a Milano preferendo quello decisamente più piccolo e intimo di Scimmie, dove stasera saranno invece di scena i milanesi I Ministri con il loro repertorio pop rock. Un locale, Scimmie, dove Morgan è di casa, visto che in passato ci ha suonato spesso. «Mi piace l' atmosfera e poi è un luogo diverso da molti altri - spiega lui, - in cui bisogna avere un approccio particolare anche verso il pubblico». L' ultima volta che si è esibito risale al 2005. «Fu per un concerto dedicato a canzoni di Domenico Modugno. Ottima acustica, tanto che, dopo aver registrato l' intera serata, vista la qualità del suono, mi piacerebbe persino farne un disco dal vivo e magari intitolarlo Scimmie 2005».
Domani sera, però, in scaletta, Morgan proporrà canzoni dal suo disco Da A ad A, l' ultimo album solista pubblicato un paio di mesi fa. Si tratta di un album molto complesso da portare dal vivo. Come lo suonerà?
«Ho riarrangiato tutti i brani per una performance di pianoforte, anche se magari mi accompagnerò in qualche canzone con la chitarra, dopo tanti concerti in cui non tocco questo strumento dal vivo. Sono fatto così, uno a cui piace cambiare in fretta idea e approccio musicale. Proprio non capisco quei musicisti che fanno o suonano le loro canzoni sempre nello stesso modo dall' inizio alla fine».
Ci sarà qualcuno ad accompagnarla?
«No, suonerò da solo. Anche se mi piacerebbe che tra il pubblico ci fosse qualche musicista volonteroso con la voglia di salire con me sul palco e farmi da spalla in qualche brano».
Ultimamente si parla di una reunion dei Bluvertigo. Tornerete insieme?
«Ne stiamo parlando e potrebbe anche succedere tra breve. Nel frattempo, però, voglio dedicare tutto il mio tempo alla promozione del mio ultimo disco. E poi non sono solo io a dover decidere. Tutti pensano a me come al leader dei Bluvertigo. In realtà, più che un vero e proprio capo, io ero un po' come un burattinaio: quello che muoveva e teneva insieme i fili del gruppo».
Lei è sempre stato un appassionato d' arte e anche molto legato a Milano. C' è qualcosa di questa città da cui si sente particolarmente attratto?
«Sono di Monza, ho vissuto a Milano e ne sono stato attratto sin da ragazzino, a partire dagli anni Ottanta. Credo sia una città molto complessa, diversa nelle sue varie zone. è questo ciò che mi piace e mi attira. Mi esalta e mi ispira, per esempio, camminare per le strade e ammirare le varie tipologie architettoniche, soprattutto quella razionalista, futurista e, in certi quartieri, anche l' architettura post industriale. Una delle cose che però più mi piace visitare è il Cenacolo di Leonardo. Ci vado quasi ogni mese e ogni volta rimango estasiato come se fosse la prima».
Massimiliano Leva
Fonte
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