MUSICAEDISCHI
Morgan
Da A ad A ***1/2
Produzione: Morgan
Ricordi (Sony BMG) 82876883472
Più complesso e tormentato di Canzoni dell’appartamento, Da A ad A fa seguito a Non al denaro non all’amore né al cielo, rifacimento del capolavoro di De André che creò un rumoroso dibattito nell’ambiente della critica musicale. Da A ad A è un disco sinfonico (con il notevole contributo dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma), la cui origine compositiva deriva proprio dalla musica classica, anche se solo in due episodi ci sono specifiche citazioni: in Amore assurdo sono stati introdotti frammenti del Preludio in Do diesis maggiore di Bach e nell’ipnotica Liebestod, scritta e cantata in inglese con Asia Argento, viene ripreso il Tristano e Isotta di Wagner. L’album, sostanzialmente autobiografico, è dedicato all’amorosa delusione del protagonista: immagini, ricordi (Amore assurdo con Giovanni Sollima come guest star), paragoni fra l’infedeltà umana e la fedeltà di alcune specie animali (Animali familiari), vane attese (Tra 5 min.), rabbia e consapevolezza (Una storia d’amore e di vanità con Cecilia Chailly all’arpa) e così via. Da A ad A, anche se un po’ confuso ed esageratamente arrangiato, rimane comunque un album pieno di spunti interessanti, conditi da ironia ed intelligenza. Bello il finale di Contro me stesso con la voce del senegalese Badara Sek.
di Katia Del Savio
pubblicata su Musica & Dischi: n.710 - 2007/09 pp. 52
DELROCK
Da A...ad A
Morgan
Casa discografica: Sony BMG
Anno: 2007
I dischi di Morgan sono sempre speciali: come leCanzoni dell'appartamento, quando smise la sua maschera futurista e indossò i più domestici panni della canzone d’autore, e ci stava benissimo, o come Non al denaro non all'amore né al cielo, pedinando De Andrè passo passo con il microscopio dello scienziato musicale.
Anche questo nuovo disco è speciale. "Un disco fondamentalmente incompiuto di cui è uscita solo una traccia provvisoria" dice lui, "il più estremo che abbia mai realizzato". Caotico, fuori controllo, un buco nero". Ma guai ad aspettarsi (solo) nera musica tellurica. Da A ad A è un terremoto, oh yes, ma anche uno scherzo giocoso, un musical lieve e un sogno da cui ti svegli sudato e ansimante. È un capitolo di Morgan nel Paese delle Meraviglie, con indovinelli e parole che rotolano da sole, per sentieri che si biforcano, con un buffo bestiario che lo zoologo musicale annota e sceneggia (Animali familiari): ma è anche confessione sincera e disarmante, come in quel passaggio di U-Blu e cantato con la figlia Anna Lou ("un regalo per i suoi cinque anni") dove a un certo punto canta "poi partirò e ti divertirai con lei/ E allora canterò che mi mancherai", o subito all’inizio, Amore assurdo, trasparente fino a imbarazzare: "Portavo un cuore entrando nella stanza/ Ma uscendo non lo avevo più/ Amore come vetro lo infranse al primo colpo."
Un album felicemente contraddittorio, così lo vedo, che pare assopirsi e appesantirsi verso la fine ma ha un guizzo splendido nell’ultima Contro me stesso, canzone dei soavi contrasti dove non è solo Morgan a collidere con se stesso ma la musica stessa, "fino a un certo punto è una cosa cantautorale, poi se ne parte per una dimensione funky, prog, con inserti jazzistici ma un’orchestra alla Lygeti fatta di armonici, clusters, oggetti orchestrali novecenteschi." Lì batte il cuore vero del disco, lì e nella tripudiante title track ("La vedo come una folle festa collettiva su un vascello fantasma, per l’ingresso in una dimensione da cui non si ritorna - nel buco nero appunto"); non fate caso al singolo, Tra cinque minuti, una carineria del tutto innocua nel tentativo di far passare il disco dall’imbutino stretto e stupido delle radio.
Undici i brani, da un’idea originaria di diciotto per un disco che doveva essere doppio. I pregiati avanzi, confessa Morgan, sono a disposizione del prossimo album che dovrebbe segnare la reunion dei Bluvertigo.
Riccardo Bertoncelli
01.07.2007
LA STAMPA
26.6.2007
Morgan multiforme, guarda a Lennon e duetta con Asia
Marinella Venegoni
INVIATA A MILANO
Per chi resti abbarbicato all’idea dell’album come manifestazione compiutamente artistica nella musica popolare, Marco Castoldi in arte Morgan è la più grande consolazione che possa capitare. Vero che con i suoi 35 anni non è più un ragazzo, anche se sempre tale sembra forse per via della figura minuta; però scrive (e pensa, e suona, e legge, e canta) assai seriamente, pur essendo tutt’altro che noioso. S’intuisce che aborrisce le banalizzazioni care alla residuale discografia del presente, tanto che nelle note del nuovo disco, Da A ad A, racconta in terza persona la sua surreale ricerca di una nuova etichetta: «Il musicista monzese decise di interrompere la relazione con la sua etichetta storica, nel mezzo della lavorazione del disco, per legarsi a un’altra Major: ma caso volle che le due discografiche si erano da poco felicemente unite. Così.. son salito al 1°piano invece che al terzo..».
Che l’ex Bluvertigo arrivato al quinto disco solista sia un giovane di spirito, s’intuisce dalla fragilità emotiva di maschio della sua generazione, che affiora nei versi, nel respiro, nelle profondità delle 11 canzoni di Da A ad A, accendendole di una luce singolare. Album con un suo ordine caotico, multiforme, e a tratti bellissimo, scoppiettante di idee e di dichiarate citazioni soprattutto classiche, conta con il titolare altri due personaggi e interpreti (o fantasmi): Asia Argento (compagna o ex non sappiamo) che s’intuisce potentissima benzina per l’ispirazione di Morgan, duetta con lui nella comune Liebestod, da un’idea fornita da Wagner e Pink Floyd; e poi c’è la loro piccola Anne Lou, 5 anni, sorridente vocetta già pronta al microfono con papà in U-Blue, solo apparentemente un giochetto (l’autore: «E’ una canzone nella quale è rappresentato il momento del divorzio... serve a spiegarle come vanno le cose della vita, perché ai bambini bisogna parlare e non mentire»).
In questa mole di pensieri e ispirazioni legati dal filo di una palpabile, allegra infelicità, convivono poi i volti che da sempre popolano l’immaginario artistico di Morgan: sono santi protettori sullo sfondo, come David Bowie, o santi ispiratori come Weil e Brecht (Animali Familiari, molto simpatica), oppure musicisti di riferimento pieno e sacro come Franco Battiato, che si è proposto per mixare l’avvolgente pezzo di apertura Amore assurdo, peraltro alquanto battiatesco: «Musicalmente, una mia elaborazione di otto misure del Preludio in do diesis di Bach», precisa lui. Echi beatlesiani soprattutto nell’uso delle trombe, anche se l’artista si definisce qui lennoniano «per la prosa dolorosa e l’attitudine biografica». Un disco da sentire e da risentire, lungo un’ora. Grazie Morgan.
ROCKOL
Morgan
DA A... AD A
Sony Bmg (CD)
Fegato, ambizione e voglia di stupire il mondo non fanno difetto a Marco Castoldi in arte Morgan. Mai come in questo disco, però, che gli è costato la rottura di un lungo sodalizio discografico e il conseguente passaggio a una azienda concorrente. La quale poi con la sua vecchia etichetta, Columbia, ha finito per apparentarsi condividendone persino la sede: uno di quegli accidenti curiosi e casuali che danno senso all’enigmatico calembour del titolo, il muoversi in una certa direzione per poi ritrovarsi al punto di partenza, ciò che il musicista monzese racconta di aver sperimentato tanto nella vita privata che nella registrazione di questo disco, “un buco nero” che a un certo punto gli è sfuggito di mano, una incompiuta con tanto altro materiale rimasto in cantiere. L’ascolto lo conferma: è talmente denso, citazionista, pieno di intuizioni e di idee (ebbene, sì) che si prova vertigine e si perde facilmente il filo del discorso, come in uno di quei giochi enigmistici complessi e cervellotici che a lui piacciono tanto. Gli amanti del minimalismo e della stringatezza stiano alla larga, perché qui rischierebbero di fare indigestione. Ma solo a leggere i crediti c’è da divertirsi: Morgan e le sue Sagome (la sua band di riferimento) suonano theremin, glockenspiel, Moog, mellotron, sitar elettrici, grilli cinesi, giocattoli di legno,cucchiai, trombini barocchi, pianoforti preparati, chitarre orologio, batterie “asciutte” e batterie “isteriche”: e come bambini meravigliati affondano le mani in una magica musical box che molto aggiunge alle atmosfere colorate e caleidoscopiche di questo “Sgt.Pepper” made in Italy. Così almeno lo presenta il comunicato stampa redatto dalla casa discografica, osando l’inosabile: cosa che a Morgan, oggi, sembra venire più che mai naturale. L’autore monzese ricava abbondante ispirazione dalla musica classica, Bach e Wagner chirurgicamente trasfigurati con i bisturi del cut up e i software del computer, cita Erasmo da Rotterdam, la poesia metafisica di John Donne e la teoria delle catastrofi del matematico francese René Thom, i Kinks, Bowie e i Pink Floyd orchestrali di “Atom heart mother” (in “Liebestod”, scritta a quattro mani con Asia Argento, c’è anche un po’ di Gainsbourg, lì), la disco-funk (“Tra 5 min.”) e James Bond (“Demoni nella notte”, un tango onirico con una chitarra alla Marc Ribot), colonne sonore e pop sinfonico tra Moody Blues e Nico Fidenco, facendo singhiozzare di malinconia i vecchi cultori del vinile quando evoca un vecchio 45 giri dei Black Sabbath con l’etichetta a spirale della Vertigo. C’è anche un suo lato più intimo e fragile, però: quello cantautorale da “canzoni dell’appartamento” che rimandano a Bindi, Gaber e naturalmente De André, quello che lo porta a scrivere testi esplicitamente autobiografici e trasparenti (“Assurdo cosa accadde quando ti vidi per la prima volta/portavo un cuore entrando nella stanza/ma uscendo non l’avevo più:/Amore, come vetro, lo infranse al primo colpo”: sono le prime parole del disco, su “Amore assurdo” mixata dallo zio putativo Franco Battiato, ed è fin troppo facile capire a cosa si riferisce), a dedicare filastrocche falsamente infantili alla figlioletta Anna Lou (“Animali familiari” è un Rodari inacidito) e a farla esordire come cantante, a sei anni, con malcelato orgoglio di papà. Il meglio, e la sorpresa più grande, arriva nel finale, quando Morgan si lascia andare a una impervia e coraggiosa improvvisazione sulla lunghissima coda strumentale di “Contro me stesso” dando il la al violoncello vorticoso di Giovanni Sollima e alla voce del griot senegalese Badara Sek: una jam session che l’autore definisce “musica autoreferenziale e autodistruttiva”, ma con un sapore di libertà che non siamo più abituati ad ascoltare nel pop contemporaneo, soprattutto in Italia. Complimenti. Il resto? “Barocco ed estremo”, lo dice lui stesso. Un approccio stilistico che, Brian Wilson e Rufus Wainwright insegnano, ha un suo perché. Ma se usasse il freno, ogni tanto…
BIELLE
Sono un genio e cerco di dimostrarlo
di Leon Ravasi
Proviamo ad assumere come centro di tutto il finale: "Contro me stesso", un brano tanto lungo quanto bello; 10'30" di musica libera di espandersi in ogni direzione, come in un bel disco prog degli anni '70, musica priva di condizionamenti, contorta e non lineare e quindi del tutto suggestiva. Musica che finisce con i vocalizzi di Badara Saek, il contrario delle elucubrazioni intellettuali di Morgan, che, come spiega anche la copertina, è il contrario di Marco (girando la copertina a testa in su, dove è scritto Morgan si legge Marco). E proviamo anche a fare attenzione ad alcune frasi: "Sono contro me stesso / ma quale intelligenza / quale premura o urgenza c'è / a non avere stima di sè/Faccio di tutto per impedire il mio successo stesso / perché sono contro me stesso / perché ogni vincitore per natura deve dominare e per forza / comandare e non può nessuno subire / e io mai ti potrei ferire / a meno che tu non mi voglia amare". Suggestivo.
Morgan ha scritto un disco tetro e contorto partendo dal labirinto delle sue sofferenze interiori. Da A ad A, come un movimento che non nasce, un itinerario non compiuto, come Asia Argento che è rimasta alle spalle e Anna Lou, la bambina che hanno avuto insieme, che rappresenta il futuro. Come spesso capita, dal tormento è nata una grande opera.
«La parte interessante - racconta Morgan - è stata quando mettendo tutto il materiale in un hard disk, nella mia casa che non è più un appartamento, ma un sotterraneo frequentato solo di notte, buio, senza le lampadine, ma solo candele e luce dei monitor del computer, per un anno ho smontato il materiale e l’ho ricomposto in modo diverso. La vera “composizione” è iniziata una volta finito il disco, quando ho potuto smantellarlo completamente. Quello che è uscito è solo la punta dell’iceberg: erano 20 brani.
"Canzoni nell’appartamento era un disco diurno, questo è notturno. In questo momento ho fatto un disco della notte, oscuro, obnubilato, caotico, incompiuto, vitale come è vitale l’ossessione. È un disco più estremo e più libero rispetto ai precedenti: la forma di questo disco è de-forme, tanto quanto l’altro era razionale».
Ci sono tantissimi segni sparsi in Da A ad A, dalla musica classica, ai cantautori degli anni ‘60 come Bindi e Tenco, fino ai Beatles. Uno strano melange acustico-elettronico, che non cerca di piacere, ma che proprio per questo affascina.
«Musicalmente viene dopo la cover del disco di De André Non al denaro, non all’amore, nè al cielo, che mi ha lasciato la voglia di utilizzare l’esperienza sinfonica, scrivendo arrangiamenti ispirati alla musica classica e alla musica cinematografica, con innesto di elettronica informale alla Stockhausen. Tutto questo è confluito in due anni e mezzo in Da A ad A».
Disco intrigante quanti altri mai, "Da A ad A" si apre con "Amore assurdo" (altre due A), ballata amorosa anni '60, in bilico tra Umberto Bindi e Pino Donaggio. I versi proseguono sciolti e liberi, quasi fosse un flusso unico di pensieri da parte del cantante che, in effetti, non tace quasi mai, laciando libero sfogo al fluire delle coscienza. Il violoncello di Sollima forma una sottotesto assolutamente in linea. Canzone da quattro stelle.
"Da A ad A" come canzone è invece una sorta di baedeker musicale, dove trova spazio di tutto: dalla musica classica, al rock, da spunti dodecafonici, fino a schitarrate morriconiane, da interventi del sitar a contrappunti operatistici e un ritornello in meraviglioso equilibrio tra pop e rock, che ti si incista nella testa con la stessa costanza degli incubi molesi. Solo che molesto non è. Grande pezzo: 5 stelle.
"Animali familiari" è un divertente Helzapoppin' di situazioni assurde che hanno per protagonisti l'ippogrifo, l'idra, l'unicorno e il basilisco, la gorgone e l'arpia (non ci sono più "gli animali medi, tranne me, li han portati via"). Canzone per bambini? Forse. Ma meno di tre stelle non merita.
Tre stelle che vanno anche a "5 minuti" uno dei brani più "normali" del disco: "Tra 5 minuti mi richiamerai / nel frattempo scrivo una canzone / tra 5 minuti spero che mi dirai / che fine abbiamo fatto noi". Ospite al canto è Lombroso. Sano e coraggioso pop-rock.
"Demoni nella notte" ("non ti preoccupare / non ci sono demoni nella notte") è uno dei canti notturni dell'album. Dedicata ancora ad Anna Lou? O a Marco Castoldi? Mah. Tre stelle abbondanti quasi quattro.
"Una storia d'amore e vanità" deriva dal disc precedente. Cecilia Chially all'arpa e pochi altri strumenti. "E tu, mia Riflessa Creatura /mi guardi negli occhi / per una volta ancora / per una volta ancora / prima che giunga Primavera". Per Asia? Quattro stelle.
"La verità" è una sorta di tango sghembo, molto molto molto triste e molto bello, per motivi anche misteriosi. Quasi 5 stelle.
"U-blue" è una delizia in puro Beatles-style. C'è di tutto, compresa Anna Lou che canta (e molto bene!). La si ascolta e ci se ne innamora. Solare, divertente, forse infantile, ma della stessa stoffa dei sottomarini gialli o dei trichechi di John, George, Paul e Ringo. Cinque stelle.
"La cosa" è rock, un po' ossessivo e anche altre cose. Ma il testo sembra veramente un taglia e incolla da un discorso parlato. Troppo parlato. E' il brano "skip" del disco. Due stelle.
"Liebestod" con la voce di Asia, presa dal primo accordo del Tristano e Isotta di Wagner, accordo decisivo per la musica moderna secondo Morgan, ma uno e uno solo. Ambiziosa. Quasi riuscita. Tre stelle.
"Contro me stesso" è un grande finale da cinque stelle. Le variazioni canore di Badara Saek, questa coda che sembra non finire mai alla Hey Jude, il parlato che subentra subito dopo la conclusione del canto, tutto questo riporta alla mente altri periodi musicali più felici. Degna conclusione di un disco sghembo, diseguale, irritante e geniale. Non facile, contropelo, oscuro, ogni tanto minaccioso e con improvvise esplosioni solari. Morgan? Teniamolo sempre più d'occhio.
ONDAROCK
MORGAN Da A Ad A (Bmg) 2007
pop, songwriter
di Ciro Frattini
Chissà come se la passa Morgan. Ha provato a dircelo con questo "Da A ad A", sorta di introspezione/confessione incentrata sull'amore, dall'inizio alla non fine; sincero e appassionato nei sentimenti verso Asia (Argento), tenero senza pari verso Annalou (la figlia). Poetica portata in musica, con il ruolo da protagonista messo in petto all'orchestra e rifuggendo le strutture semplici.
Cantautorato altamente atipico quello di "Amore assurdo", massicce dosi di Van Dyke Parks e pathos ("posso scegliere, desiderare, idolatrare, venerare, provar piacere carnale, ma dopo un tale amore non possono più amare") soppesate fino al limite; giusto un passo prima di "Una storia di amore e di vanità", laddove diventano solo pesantezza e tedio.
Spesso perde la misura, Morgan, e si canta addosso nel disinteresse di chi ascolta, se questi non si allinea, se non entra in fusione con l'autore; emblematico il paio di filastrocche ("Animali familiari", "U-Blue").
La title track mitiga molti dei problemi: e musicalmente, stemperando la tensione delle chitarre in fiati frizzantini; e testualmente, indovinando un'immagine efficacissima ("i punti A ed A sono costanti, nate da contrasto e per questo convergenti, ma un incalcolato improvvisare da A ad A mi spinge sempre a ritornare, da A ad A come un immobile oscillare"), che sintetizza il suo momento di vita e al tempo stesso gioca sui due lati della medaglia di qualsiasi evento ("e scopro che la fine ha sempre inizio dal luogo lampeggiante di un conflitto, nel quale il vincitore e lo sconfitto si scambiano di norma vizio e sfizio").
L'altro spunto, anche superiore, è "La verità", tango dal sapore antico, recitato come Peppe Servillo e figlio dell'intensità di Tenco; e con un testo gioiello.
Residuano un paio di concessioni alla radio, i davvero pessimi numeri base "Tra 5 min." e "Demoni nella notte" (un rockettino e una ballata noir); le infinite lungaggini che appesantiscono il divertissement "La Cosa" e la dolce "Liebestod"; la jam funk-orchestrale che chiude "Contro me stesso".
Morgan ci porta "Da A ad A" attraversando un fiume in cui si rispecchia, e nel farlo inciampa in numerose pozze di difetti ed eccessi. E il bello è che per molti saranno pregi. Questione di punti di vista.
02.10.2007
BLOOMRIOT
MARCO CASTOLDI (IN ARTE: MORGAN)
Il Teatro e il suo Doppio
Marco Castoldi (Morgan), Da A Ad A. Ricordi / Sony 2007
Una parata ricca e sfarzosa, barocca e piena zeppa di riferimenti, suoni, colori, sfumature, gioielli, delicatezze. Come un baule prezioso avvolto di pregiato damasco e aperto, corpo in autopsia, a chi voglia ascoltare. Una mise en scene spietata, crudelissima e affogata di dolcezza, del proprio sé, messo a nudo in quanto essere (umano) e in quanto dramatis personae, esponendo lacerazioni e ferite, cicatrici e gioie, gingilli e ricerca, amore e narcisistiche illusioni. Calcando la mano, andando all’estremo, Teatro Della Crudeltà nei fatti, e non nel manifesto programmatico cui altre band (vedi il pur ottimo Il Teatro Degli Orrori) possano esprimere aderenza. Antonin Artaud e Carmelo Bene metabolizzati in una propria sussunta ego-fania. Che parla di sé rendendo il sé pubblica opera d’arte (il privato che diviene pubblico, si sarebbe detto secoli fa). La forma che E’ sostanza. Puro dandismo, ma non c’è solo quello, affatto. Ché Morgan è settecentesco, illuminista votato all'inclusione, più che al minimal, un Barry Lyndon più sulfureo e mozartiano, specie ora che ha quei capelli lunghi da Sir Francis Drake dopo l’ennesima scorreria per il mar dei Sargassi.
Perché è un caleidoscopico aleph, quello che il signor Castoldi (con i suoi ottimi musicisti: Megahertz, Sergio Carnevale, Enrico Gabrielli e Marco Carusino) propina in questo Da A Ad A, e che, proprio come uno spartito mozartiano, pare avvolgersi qua e là di levità per poi invece andar giù duro, con la sostanza, o d’altra parte buttarsi, senza ripensamenti, nel più appassionato melodramma: ar(t)monie senza tempo e solo a un primo livello, d’antan, ritorni che danno senso al viaggio, teorie delle catastrofi, passatopresente (la title-track, colorata nei suoni come un brano di Sgt. Pepper o una suite dei Pink Floyd era-AtomHeartMother). Melodie cristalline, profondamente italiane, nel gusto, scelte per raccontare, con testi sfavillanti e lussureggianti di inventiva, sentimenti e emozioni potentissime (Amore Assurdo, testo che da solo vale una carriera). Oppure, altrove (la citazione non è voluta) solo apparentemente futili giocosità, come il foxtrot di Animali Familiari, apologo tragicomico della condizione universale del maschio, o la scanzonata U-Blue, surreale filastrocca cantata con la piccola Anna Lou e che finisce per ferire, da tanto è dolce, o ancora il calembour schizoide e a tratti zappiano di La Cosa.
E anche quando sembra che la tensione debba allentarsi, come nel singolo Tra Cinque Minuti (scritto a sei mani con i Lombroso, e che infatti riecheggia parecchio le atmosfere del duo, cosa che non me lo aveva fatto subito piacere), la cura nell’arrangiamento, l’attenzione per il dettaglio fanno rimanere all’erta.
E poi ci sono le stoccate vincenti, le scudisciate con le quali Morgan fa sua la partita a mano bassa: la già citata Amore Assurdo, la drammatica, e intensa fino allo stremo, Una Storia D’Amore E Di Vanità, nonché La Verità, sorta di tangaccio riveduto e corretto dal testo assolutamente azzeccato, e con la voce che rincorre imbizzarrita lo svolgersi armonico della musica, con controcanti, salite, discese, da opera lirica. E come non citare Contro Me Stesso? Titolo didascalico per la auto-messainscacco finale, con una coda mantrica e tribale che finisce con un beffardo sberleffo (i musicisti, che se la ridono per il finale retrò sull’accordo maggiore). Così tante, le stoccate, che quasi passa in secondo piano un brano come Liebestod, in cui Marco duetta con l’altra, delle A del titolo, e in verità stiletta il cuore forse un po’ meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da un duetto tra l’Artista e la di lui Musa (ma forse anche questa, è una lieve, divertita beffa, chissà).
Bando agli indugi, dunque: nell’attesa golosa (almeno per me) del nuovo disco dei Marlene Kuntz in uscita a settembre, Da A Ad A è a mio modesto avviso il disco italiano dell’anno.
Dicono in giro che Morgan o lo ami o lo odi. Beh, personalmente (altra citazione non voluta), non capisco proprio come lo si possa odiare.
IL MASCALZONE
Morgan “Da A ad A”
Etichetta: Sony BMG
Brani: Amore assurdo / Da A ad A / Animali familiari / Tra 5 minuti / Demoni nella notte / Una storia d’amore e di vanità / La verità / U-blue / La cosa / Liebestod / Contro me stesso
Concetto affascinante quello della circolarità del tempo. Nietzche l’ha chiamato eterno ritorno e ci ha costruito una grossa porzione del suo pensiero. Lynch ha inventato strade perdute e ha montato un film che ruota su se stesso senza un vero inizio senza un vero epilogo. Il tempo torna all’istante antecedente per debolezza e per completezza di esperienza? O il tempo si riavvolge sul momento che l’ha generato per coraggio e complessità di calcolo? Il percorso che porta da A ad A sembra nullo ma è la prospettiva che inganna. Il nulla apparente nasconde un percorso dolente, sfigurante, definitivo, basta cambiare di poco la nostra posizione e assicurarci una meno scontata visuale per accorgercene. Il protagonista di Amore assurdo è partito da un punto preciso, il fuori, ed è tornato allo stesso punto, mutilato. E’ stato il suo percorso, nel dentro, a privarlo di una vitale parte di sé, il cuore. Dentro c’era l’amore. «Assurdo cosa accadde quando ti vidi per la prima volta/portavo un cuore entrando nella stanza ma uscendo non lo avevo più/amore come vetro lo infranse al primo colpo». Poco importa che il percorso sia stato scellerato e che non si sia tenuto conto di rischi calcolabili. Poco importa anche che il proprio sia un sentimento vanesio, capace di specchiarsi e trovarsi bello persino quando soffre e fa soffrire (Una storia d’amore e di vanità). E’ quello che accade in quei non rari casi in cui l’amore parte da sé per tornare ellitticamente ancora a sé. «Lei si assomiglia/…/lei ama solo se stessa». L’ascoltatore è una statua di sale che evita come il diavolo l’acqua santa i percorsi semplici e brevi e gli sarà capitato almeno una volta di fare un tratto di strada insieme a Morgan, che ammette «io non seguo mai la prima strada» se è nella propria natura avventurarsi ogni volta «per strade secondarie e tortuose». Nel suo nuovo album, l’ex Bluvertigo ha il passo di chi manca sistematicamente la linearità, di chi rifugge lo schema precostituito. Ogni mo(vi)mento è circolare, ogni cerchio un fondo di bicchiere. E ogni fondo scava un po’ di più, fino all’estrema conseguenza di annullare la considerazione di sé. «Io non simulo il mio progresso/perché son contro me stesso» è la rappresentazione estetica e morale di un malessere che ha un nome e un cognome, ma che viene nascosto dietro un rebus non per pudore ma per meraviglia bambina. Contro me stesso, titolo che può fulminare e che spiega il suo autore meglio di qualsiasi chiacchiera. Quello di “Da A ad A” è cantautorato esistenzialista e barocco, con depressioni claustrofobiche e orchestrazioni che strabordano dal (con)sentito appena possono, con strumenti utilizzati alla stregua di balocchi, come in una favola nera. L’impeto dadaista di Morgan si palesa dal titolo alla copertina fino a filastrocche alle quali si fatica a correre dietro, perse nella festa all’eccesso, ma parte di una messinscena troppo simile alla vita dello stesso Morgan per essere disprezzata. Tutto aderisce perfettamente alla realtà, si incolla ad un dolore troppo pesante da sopportare e si muove deciso verso un cantautore mai dimenticato di quarant’anni fa: Luigi Tenco (le parole de La verità «tu non dici niente ma solo guardandoti negli occhi sei distante/la verità non è nei fatti ma nei sentimenti» non sembrano forse rubate a Ho capito che ti amo o Lontano lontano?). Se sia vita che trascolori nell’opera d’arte o opera d’arte che ridicolizzi la vita cambia poco, “Da A ad A” cammina con andatura propria ma si porta dietro sofferenze già sofferte, ognuna unica e irripetibile eppure ognuna così simile a tutte le altre. “Da A ad A” può portare a considerare la musica pop come la nostra migliore compagna. Soprattutto se si vive nella dannazione di vedere l’amore come un percorso mutilante.
Pierluigi Lucadei
SENTIREASCOLTARE
Da A ad A
Morgan
Sony BMG Music Entertainment
Archiviata la (ovviabile) digressione De André, Morgan torna col secondo lavoro d'inediti originali. Rispetto all'esordio, la situazione è precipitata. L'ossessione impudicamente eletta al rango di musa, circolo vizioso di sentimenti irrisolti, tormento incistito su cui tornano i pensieri e le opre (le omissioni?) a sbattere come polpi da frollare. Un rovello velenoso da cui estrarre la medicina, folle ipertrofica creatività che si specchia in se stessa, rimbalzandosi mille volte come succede ad ogni specchio infranto che si rispetti. Da A ad A, ovvero quel circuito senza scampo, ma anche il giocare irriguardoso e ragguardevole dei dada, la spremitura centrifuga dei significati. Sovrapposti e opposti. Diversi. Un sorriso di luna scura. Diamante Pazzo e Sergente Pepe alla corte del marajà. Il beat-straccione ammantato di broccati nella capsula spaziale. Cristo, Morgan.
L'orchestrazione è una giostra di archi e legni e sintetizzatori e pianoforte e ottoni e organi e theremin eccetera. Più di quel che occorre, perché il necessario è il respiro ma l'eccessivo è il sospiro, o l'urlo (interiore, esteriore) di chi non accetta, non si accetta. Cristo, Morgan. Sembri un Capossela in deriva swing cazzona Arbore (Animali familiari), poi un ibrido Modugno/Tenco tra i solchi del Parsifal dei Pooh (Una storia d'amore e di vanità), poi un Ivan Graziani che gioca al videogame glam Power Station (La cosa) e ancora i Floyd di Atom Heart Mother tra allucinazioni Badalamenti, Air e Beatles (Liebestod). Cristo.
Cristo se non è una sarabanda di scaramucce patafisiche, mise en scene che spinge melodie ipertrofiche o insussistenti stropicciate da un canto che sembra non fottergli un cazzo, se non rappresentare la propria garrula devastazione sentimentale (Amore assurdo). Senza risparmiare neanche la marcetta fanciullesca di U-Blue (vaudeville Beatles e coretti Beach Boys dal bridge costernato, guest star la figlia Anne Lou). Cogliendo fluviale apoteosi/manifesto nella conclusiva Contro me stesso, ballad psych srotolata fosca e leggera, Morgan che confessa il suicidio commerciale (ma ce n'eravamo già accorti, caro) tra i graffiti sghembi del violino, quindi una fiera svolta in direzione soul tra Beta Band, Talk Talk e Bowie, delirio di archi, sax, melismi nordafricani e wah wah.
Un baraccone che amerete e odierete. Come il suo autore. Proprio come lui.
(6.9/10)
Stefano Solventi
IL GIORNALE
Poesia, follia e Stockhausen ecco il rock corsaro di Morgan
L’artista pubblica «Da A ad A», album colto che cita Bach, Wagner e Rota
da Milano
Con quel nome da corsaro, i modi scanzonati e assorti, la cultura vastissima non poteva che toccare a Morgan di rivendicare i diritti della musica «alta», cioè della Musica, in un mercato che, complici l’estate e il servilismo dei media, va affollandosi di pop gastronomico e di canzonette usa e getta. Sicché, a due anni dalla splendida rivisitazione di De André (Non al denaro non all’amore né al cielo), e a quattro da Canzoni dell’appartamento, Morgan ci dona in Da A ad A, sottotitolo Teoria delle catastrofi, un viaggio stregante, avventuroso e assai novecentesco: nel senso d’un «Novecento musicale tutto fatto di musica che riflette sulla musica, e nei modi più vari», come scriveva Paolo Isotta. E dunque ecco il corsaro Morgan arrembare il Bach del Clavicembalo ben temperato e il Wagner di Tristano e Isotta, le atmosfere circensi di Nino Rota nonché Bowie, Lennon, Brel, Piazzolla - il tango stralunato di La verità - più la poesia di Borges, Ovidio, John Donne. Così che «l’illusione di rimaterializzare/il nostro disordine speciale», di dare senso logico a un delirio pirotecnico di metafore, stili e rimandi è non solo un verso della canzone che apre il disco, ma l’espressione d’un progetto tanto folle nelle apparenze quanto centrato negli esiti. Anche grazie ad un tourbillon di temi che dai baratri e dai cieli dell’amore e della gioventù arriva al bestiario di Animali familiari, con quella musica tra gioco infantile e marcetta felliniana, dalla smania di evasione alle catene della realtà, dal clima metafisico-ansiogeno, alla Dario Argento, di Demoni nella notte fino all’idillio lunare di Liebestod, scritta e cantata con Asia Argento, rarefatta come il sospiro di un’anima che si sfilaccia e misteriosamente si ricompone. Per concludere col griot senegalese Badara Sek, che s’insinua nel tessuto violoncellistico di Giovanni Sollima, in Contro me stesso.
Finalmente, un disco «alto», complesso e dunque stimolante, che tiene sveglia l’intelligenza di chi ascolta. E dialettico, con quel cantare che insegue all’infinito voglie di melodia come un orizzonte lontanante, e lascia via libera al getto continuo delle invenzioni strumentali. Continuo e plurimo, ché da un lato «ho sempre amato le orchestrazioni sinfoniche - dice l’autore - pur mescolate, qui, a un substrato rock. Dall’altro c’è l’elettronica, «ma usata guardando non ai Kraftwerk ma a Varèse, Maderna, Nono, Stockhausen». Dunque Da A ad A è un affresco che si dirama su vari fronti, e da vari fronti va esplorato: rifiutando la monodimensionalità e l’inettitudine a volare del pop dominante. Vario anche nel mood, e nei contenuti, con quel transitare continuo tra pessimismo e relativo ottimismo, cui allude lo stesso sottotitolo: «La Teoria delle catastrofi fu formulata a metà del Novecento dal matematico francese René Thom. Tradotta in soldoni riprende la vecchia idea greca che il conflitto è il padre di tutte le cose, così come un mobile vien fuori dallo scontro tra la lama d’una sega metallica e il legno». Ecco perché scaturisce, mica tanto misteriosamente, una sorta di serenità, da questo gorgo di ossessioni, solitudini, affetti, incubi, che Morgan passa in rassegna nel cd. E del resto «Da A ad A - dice lui - potrebbe rammentare l’antico per aspera ad astra». Nonché le iniziali di Asia Argento, sua compagna, o il nome della loro figlia, cui è dedicato l’amorevole divertissement di U-blue.
Redazione di Il Giornale
VIRGILIOMUSICA.IT
Morgan presenta DaAadA, un disco in technicolor
A due anni di distanza dalla rivisitazione di Non al denaro né all'amore né al cielo di De André, Marco Castoldi in arte Morgan è tornato con un nuovo disco solista, dal bizzarro e affascinante titolo DaAadA, presentato per la prima volta dal vivo a Milano lunedì 25 giugno e in vendita a partire dal 29.
Undici brani tra sperimentazione e classicismo sono il prodotto di tre anni di lavoro notturno, diario di quei tempi e risultato di una difficile selezione di una materia ben più ampia. Il disco infatti, secondo l'idea iniziale dell'autore, doveva essere composto da due cd distinti, A ed A, da vendersi separatamente ma al prezzo di uno.
Questa idea di marketing, definita dallo stesso Morgan folleggiante ed utopistica, non è stata accolta con grande entusiasmo dalla casa discografica e così 9 canzoni sono rimaste fuori, lasciando al disco quel carattere di incompiuto.
Il titolo, da scriversi come una sola parola, è da leggersi come un percorso in cui la fine coincide con l'inizio e il ritorno con la partenza. Da A ad A, appunto.
Una passione, quella di Morgan per la A, nata durante la lettura di un libro di Camus, Il mito di Sisifo, in cui la parola Assurdo viene ripetuta in modo ossessivo. Una lettera che ritorna più volte nella vita del cantante: A ed A sono le iniziali di Asia Argento ma anche del nome della figlia, Ana-Lou.
"Pensai a questa parola impronunciabile, piena di A, dal gusto Dadà, che possedeva delle qualità, che aveva una sonorità, un'infinità di possibilità di grafica e giocosità. Ripartivo da qua, un punto A".
Così, secondo le parole dell'autore, è nato il titolo che ha dato forma al disco. A partire dalla prima canzone (Amore Assurdo) che vanta la collaborazione di un fonico d'eccezione, l'amico Franco Battiato, sino ad arrivare alla title-track, il cui testo è stato scritto a quattro mani con il poeta romano Mauro Mazzetti, che grazie ad una ricerca sul titolo è approdato ad una curiosa "teoria delle catastrofi" che ha ispirato il brano ed è diventata il sottotitolo del disco.
Non sono queste le uniche collaborazioni esterne del disco. In U-Blue si può sentire la vocina della piccola Ana-Lou, ascoltatrice ufficale del disco, ed anche Asia Argento presta la voce per duettare con Marco in Liebestod.
Anticipato dal singolo Tra 5 minuti, "DaAadA suona come un'opera rock, come un disco in technicolor che cambia di continuo tonalità cromatiche, mantenedo chi ascolta all'interno di un caleidoscopio di suoni e colori che sembrano fuggire verso l'eterno delle canzoni per poi tornare al loro interno". Difficile descriverlo a parole, il disco non richiede altro che essere ascoltato.
IL MUCCHIO SELVAGGIO
Non è perfetto, certo, Da A… Ad A. Marco “Morgan” Castoldi lo ha immaginato di notte, soprattutto, pensando arrangiamenti orchestrali di tutto rispetto, per accompagnare testi variegati e variopinti: dalla rivisitazione contemporanea del bestiario medioevale di Animali Familiari, con efficace accompagnamento vaudeville, al crepuscolo di Demoni Nella Notte, fino al dramma sentimentale e quasi onirico de Una Storia D’Amore e vanità.
Capace di accostare Piero Ciampi a Camus, di essere ironico e , finalmente, non troppo narcisista, Morgan consegna con brani come la title track e la geniale e accorata Contro Me Stesso un ritratto di autore contemporaneo, che riesce, con discreta temerarietà, a vivere la scrittura di canzoni come un’esperienza quasi senza limiti, aperta pure allo sbaglio. Un’imperfezione che si trova magari in alcuni pezzi poco focalizzati (il quasi estraneo al resto Tra cinque minuti), o in divertissement che potrebbero anche imbarazzare qualcun altro (il siparietto favolistica di U Blue, Liebestod), ma che in fondo sono il sale di un lavoro dove tutto sembra costantemente sul punto di esplodere, dove allegria nervosa e pianto sardonico si intrecciano. Un’imperfezione della quale non possiamo che tessere l’elogio.
John Vignola
Luglio/Agosto 2007
LA PROVINCIA DI SONDRIO
Morgan nel passato per uscire dal gregge
Da A ad A. Dada, per dirla come gli inquilini del Cabaret Voltaire. Ma si tratta anche degli estremi enunciati da dal matematico francese René Thom nella cosiddetta ?teoria delle catastrofi?. Oppure, mescolando, dalle aspera fino agli astra anche se il gioco si completa passando da Asia a Anna Lou e qui chi si interessa più di gossip che di musica (ovvero tutti, ahimè) potrebbero già aver riconosciuto Morgan che, dopo l'omaggio a De André, è tornato a pubblicare con questo disco, dalla genesi complessa quasi come il titolo. Al punto che l'autore è arrivato a definirlo «disco incompiuto». Alle spalle c'era un'idea innovativa, in quest'era di vendite ridicole: un doppio pubblicato in due tranche. Prima un cd con l'alloggiamento anche per un secondo supporto. Qualche tempo dopo la pubblicazione della seconda parte: sarebbe bastato presentarsi al negozio, vecchia custodia alla mano, per ottenere l'altro dischetto gratuitamente. Tutti d'accordo tranne gli altri, si potrebbe dire. Quindi rescissione di contratto, pausa di riflessione, e, ora, Da A ad A, influenzato dalla lettura del Mito di Sisif? di Camus, da Battiato, come sempre, ma anche dai grandi sperimentatori del passato. In effetti, nell'anno del quarantesimo anniversario di Sgt. Pepper, questo sembra, indirettamente, il miglior tributo possibile. Perché di Lennon e McCartney (e Harrison), (e George Martin), Morgan non riprende troppo né lo stile né gli stilemi. In compenso è tornato a giocare in sala d'incisione, ricordandosi che un tempo anche lo studio era considerato uno strumento da manipolare per creare suoni e alchimie. Nastri al contrario, apporti sonori arrivati da chissà dove, voci e suoni filtrati, distorti, quasi violentati in nome di una sperimentazione pura, non sapendo bene cosa si sarebbe potuto ottenere ma, quasi misteriosamente, ottenendolo. La tecnica che ha portato alla nascita di?Revolver, ?gt. Pepper's lonely hearts club band stesso e pure tutto quello che ruota attorno a Magical mystery tour. Tutti presero nota, dai Pink Floyd della stanza a fianco all'amato (da Morgan) David Bowie, all'epoca ancora giovanetto che si affrancava dalla moda mod. I suoi lavori implumi, molto prima di conoscere il vero successo, traboccano di stranezze, riuscite o meno (andrebbe riascoltata oggi The laughing gnome, con un effetto paperinesco sulla voce che spiega, abbastanza bene, perché Waters e soci non vogliono che venga pubblicata ufficialmente Scream thy last scream, prodotta con lo stesso giochetto). Erano altri tempi ma per il musicista monzese quei tempi non sono passati oppure, semplicemente, non dovevano passare. Non è un disco perfetto, forse non è un capolavoro (lo speriamo perché il buon Castoldi, è un augurio, farà ancora di più in futuro) ma è un caleidoscopio come da tempo non se ne ascoltavano al punto che, proprio come accadeva con i Fab 4, si perdonano anche brani meno felici in sede compositiva per la grande estrosità degli arrangiamenti. In fondo era quello il trucco, in quel periodo, non tanto la canzone in sé, bella o brutta, originale o meno, ma la tela da riempire di colori, come se la partitura non fosse un punto d'arrivo, come è per troppi, ma solo di partenza, quasi un pro forma anche se in questo caso la forma non è quasi mai rispettata. Ben vengano, quindi, le aperture di Amore assurdo ma anche filastrocche come Animali familiari, pezzi da chansonnier, tanghi, il singolone rock fuori contesto (Tra cinque minuti), il dittico familiare U-blue (la sua When I'm sixty four con uno spruzzo di Honey pie e la presenza della figlia) / Liebestod (il suo sogno numero nove con la partecipazione di Asia). Non c'è A day in the life ma Da A ad A si chiude con un brano lungo, epico, ironicamente masochista, Contro me stesso. Questo è un disco che meriterebbe il successo, per la volontà di fuga da temi banali, sia testuali che musicali, davvero egregio mentre tutto, intorno, è gregge, è mandria.
Alessio Brunialti - "La provincia di Sondrio"
CORRIERE DELLA SERA MAGAZINE (luglio 2007)
MORGAN - DA A AD A
POP - VOTO 7
Dalla A dell'ex compagna Asia Argento alla A della piccola figlia Anna Lou, questo piccolo capolavoro. Cita Bach e Wagner, ricorda Renato Zero ma anche i Beatles di Strawberry Fields Forever. Un buco nero intriso di lirismo, un'autobiografia sinfonica senza lieto fine. (S.L.)
LIVEROCK
Morgan - Da A ad A (Teoria delle catastrofi) (Sony - 2007)
di Pierluigi Lucadei and Michele Piunti
"Bisogna avere un caos dentro di sé
per generare una stella danzante"
Concetto affascinante quello della circolarità del tempo. Nietzche l’ha chiamato eterno ritorno e ci ha costruito una grossa porzione del suo pensiero. Lynch ha inventato strade perdute e ha montato un film che ruota su se stesso senza un vero inizio senza un vero epilogo. Il tempo torna all’istante antecedente per debolezza e per completezza di esperienza? O il tempo si riavvolge sul momento che l’ha generato per coraggio e complessità di calcolo? Il percorso che porta da A ad A sembra nullo ma è la prospettiva che inganna. Il nulla apparente nasconde un percorso dolente, sfigurante, definitivo, basta cambiare di poco la nostra posizione e assicurarci una meno scontata visuale per accorgercene. Il protagonista di Amore assurdo è partito da un punto preciso, il fuori, ed è tornato allo stesso punto, mutilato. E’ stato il suo percorso, nel dentro, a privarlo di una vitale parte di sé, il cuore. Dentro c’era l’amore. «Assurdo cosa accadde quando ti vidi per la prima volta/portavo un cuore entrando nella stanza ma uscendo non lo avevo più/amore come vetro lo infranse al primo colpo». Poco importa che il percorso sia stato scellerato e che non si sia tenuto conto di rischi calcolabili. Poco importa anche che il proprio sia un sentimento vanesio, capace di specchiarsi e trovarsi bello persino quando soffre e fa soffrire (Una storia d’amore e di vanità). E’ quello che accade in quei non rari casi in cui l’amore parte da sé per tornare ellitticamente ancora a sé. «Lei si assomiglia/…/lei ama solo se stessa». L’ascoltatore è una statua di sale che evita come il diavolo l’acqua santa i percorsi semplici e brevi e gli sarà capitato almeno una volta di fare un tratto di strada insieme a Morgan, che ammette «io non seguo mai la prima strada» se è nella propria natura avventurarsi ogni volta «per strade secondarie e tortuose». Nel suo nuovo album, l’ex Bluvertigo ha il passo di chi manca sistematicamente la linearità, di chi rifugge lo schema precostituito. Ogni mo(vi)mento è circolare, ogni cerchio un fondo di bicchiere. E ogni fondo scava un po’ di più, fino all’estrema conseguenza di annullare la considerazione di sé. «Io non simulo il mio progresso/perché son contro me stesso» è la rappresentazione estetica e morale di un malessere che ha un nome e un cognome, ma che viene nascosto dietro un rebus non per pudore ma per meraviglia bambina. Contro me stesso, titolo che può fulminare e che spiega il suo autore meglio di qualsiasi chiacchiera. Quello di “Da A ad A” è cantautorato esistenzialista e barocco, con depressioni claustrofobiche e orchestrazioni che strabordano dal (con)sentito appena possono, con strumenti utilizzati alla stregua di balocchi, come in una favola nera. L’impeto dadaista di Morgan si palesa dal titolo alla copertina fino a filastrocche alle quali si fatica a correre dietro, perse nella festa all’eccesso, ma parte di una messinscena troppo simile alla vita dello stesso Morgan per essere disprezzata. Tutto aderisce perfettamente alla realtà, si incolla ad un dolore troppo pesante da sopportare e si muove deciso verso un cantautore mai dimenticato di quarant’anni fa: Luigi Tenco (le parole de La verità «tu non dici niente ma solo guardandoti negli occhi sei distante/la verità non è nei fatti ma nei sentimenti» non sembrano forse rubate a Ho capito che ti amo o Lontano lontano?). Se sia vita che trascolori nell’opera d’arte o opera d’arte che ridicolizzi la vita cambia poco, “Da A ad A” cammina con andatura propria ma si porta dietro sofferenze già sofferte, ognuna unica e irripetibile eppure ognuna così simile a tutte le altre. “Da A ad A” può portare a considerare la musica pop come la nostra migliore compagna. Soprattutto se si vive nella dannazione di vedere l’amore come un percorso mutilante. (pl)
E' la storia di un eterno risveglio, di un perpetuo ricominciare, grafo ciclco di inconsci ossimori, lucido monito a se stesso e all'impraticabilità di certe aspirazioni. E' un sogno a puntate, è un tentativo di colmare la distanza ("Da A ad A"), è la strategia di uno che si ingegna e muove tutto intorno a sé, gli oggetti e il tempo, le intenzioni e i ricordi, un mago Merlino Disneyano che dà inizio a una magia ("Da a ad A", e mi viene in mente quella onirica scena dell' enorme orchestra di piatti, pentole, mestoli e padelle che si lavano gli uni sugli altri sotto gli occhi di uno sbigottito Semola) un' alchimia chimca (trarre dal veleno medicina / produrre dal potassio tutti i mondi) un incessante richiamo di frame cognitivi, uno via l'altro, a illustrare con dettaglio la cronaca di cosa succede nella testa di Marco Morgan Castoldi. Un artista, oggi. Provate a fare la seguente cosa. Scorrete il testo di questa pagina soffermandovi sui neretti. Il messaggio sarebbe allora chiaro. Disse una volta Andrea Pazienza nell' illustrare un suo lavoro, che da ognuna di quelle tavole si sarebbe potuta trarre una nuova storia, una nuova sceneggiatura, un nuovo romanzo, tanto erano fitte di idee e suggestioni.
Quello che solitamente si dice di un disco, le categorie e gli usuali schemi di ascolto, qui semplicemente non sono applicabili. Certo, si potrebbe parlare di xilofoni, archi e ottoni, ance e timpani, bassi e teremin. Non si potrebbe parlare, invece, di chitarre taglienti, né di atmosfere rarefatte, perché questa..."Opera" non è lo-fi, non è costruita per sottrazioni ma su livelli e metalivelli. Questa è coreografia, è orchestra, è sinfonia barocca. Questo è un manifesto. Morgan nel 2007 come Tristan Tzara nel 1918.
Un lavoro complesso e non lineare, come il caos, saltato fuori da un buco nero durato quattro anni, durante i quali è stato progressivamente costruito, aggiustato, smontato e poi rimodellato, influenzato, limato. Un lavoro forse addirittura incompiuto "di cui è uscita solo una traccia provvisoria", dice Marco. "Dal punto A in cui mi trovavo volevo raggiungere un punto B. E invece sono tornato indietro, sono imploso, vittima dell’entropia. Persino la casa discografica che ho lasciato per divergenze su questo progetto ha finito per inglobare quella con cui nel frattempo mi ero accasato". Pensato originariamente sulla lunghezza di un doppio album, ma già sufficiente a mostrare una molteplicità di mondi possibili che ha del mai visto. Separazioni, salti prospettive, magnifici ricongiungimenti, citazioni dalla musica classica "mi piace mischiare sacro e profano, cultura alta e bassa... In Amore assurdo ho utilizzato otto misure dal Preludio in Do diesis maggiore di Bach dal secondo libro del Clavicembalo temperato. E il Do diesis maggiore è una tonalità ardua, i violinisti hanno sudato sette camicie e mi hanno mandato a quel paese. Mentre in Liebestod, una canzone che ho scritto a quattro mani con Asia per un progetto musicale che si chiama 23 A.M., ho ripreso il celebre Tristan Chord dal Tristano e Isotta di Wagner, l’accordo più importante del Novecento, quello che ha segnato l’inizio della musica moderna e che poi hanno saccheggiato tutti: io l’ho cristallizzato costruendoci intorno un brano intero".
Più celati i riferimenti all'elettronica, qui usata come strumento più che come fine "la vera composizione inizia con l’editing che si fa quando si hanno in mano gli hard disk con le incisioni. Soprattutto oggi che la musica si vede e non si ascolta soltanto, con le forme d’onda che ti appaiono sullo schermo come grafici colorati e si disegna il suono con la penna. Io quelle forme, e i ProTools, oggi me li sogno di notte come da ragazzino sognavo il Tetris". E allora i Kinks di La cosa (qui il caos ci ha messo lo zampino e alla fine è saltato il previsto duetto con Bugo). I Beatles e lo Zecchino d'oro di U-blue filastrocca composta in occasione di un compleanno di Anna Lou (figlia oggi seienne di Asia e Morgan). Le metafore di un bestiario medievale in Animali familiari (la strofa dell' "ape" che sembra dettata in sogno da De André). Il singolo Tra 5 minuti, realizzato assieme ai Lombroso, solo apparentemente ammiccante cavallo di troia per le radio e i jukebox estivi.
E poi i capolavori. Traccia 1, Amore Assurdo, mixata da Battiato, compulsivo slow motion nei ricordi di una relazione all'inizio ('..noi due immersi nel vino rosso brindare..') vista dalla prospettiva inimmaginata del presente, chiuso in una stanza con una candela accesa sui ricordi a guardare il disco dei Black Sabbath (con l'etichetta a spirale) e col cuore spezzato (John Donne). Trasformazione finale della vita (e del di lei tormento) in opera d'arte. Traccia 2, la rapsodia della titletrack Da A ad A a dare l'anima all'intero album. Dai Queen a Cocciante, da Arnold 'Barret' Layne a Morricone, un'architettura tanto poliedrica e al tempo stesso tanto essenziale (e geniale) da risultare quasi archetipica. Su disco: organi, Hammond, moog, percussioni, chitarre baritono, 12 corde, 6 corde, mellotron, "i" bassi, sitar elettrico e chissà cos'altro. Dal vivo, pianoforte e voce, tutto con la stessa intensità. Traccia 6, i cavalier, l'arme, l'amore e di nuovo lei, crudele e onnipresente belle dame sans merci in una storia d'amore e di vanità. Traccia 11, ingannevole più di ogni cosa, Contro me stesso: inizio sepolcrale e psichedelico, finale del tutto dissociato, dopo 10 minuti e 30 secondi di variazioni e preludi, stop e ripartenze, fiati e cori di Badara Sek, griot senegalese.
Ok, mettiamola così. Questa... "Opera" segna un punto. Un inizio, o una fine, fate voi, qualcosa di cruciale per la musica del decennio. Pietra miliare, lavoro seminale, chiamiatelo un po' come vi pare.
Da qui scade il "fu" rock indipendente degli anni novanta e da qui sfuma il "fu" cantautorato degli anni sessanta/settanta. Questo magnifico "Gestalt" ci è dato in dono e oggi passa per le mani del signor Marco Morgan Castoldi da Monza. Riuscirà qualcuno a stare al passo?
(*) Tre postille. La prima, per i discografici della Sony che impassibili ebbero a dire "disco difficile e non nuovo". Pentitevi. Oppure esistono altri lavori, anch essi precari ma pur sempre dignitosi.
La seconda, caro Morgan, non ti fare ingoiare di nuovo da un buco nero e dal caos, fallo presto un altro disco.
La terza. Cara Asia, basta a pomiciare con rotweiler, attricette holliwodiane e shampisti della passerella impotenti. Torna a casa, dai. (mp)
Tracklist:
1. Amore assurdo
2. Da A ad A
3. Animali familiari
4. Tra 5 minuti
5. Demoni nella notte
6. Una storia d’amore e di vanità
7. La verità
8. U-Blue
9. La cosa
10. Liebestod
11. Contro me stesso
XL
Morgan
Da A... ad A / Sony Bmg
di Flavio Brighenti
chi è più bravo e rétro? Il diavolo, probabilmente
Marco Morgan Castoldi è diabolico. Cos’altro puoi dire di un musicista classe 1972 che se la gode a giocare con gli anni Ottanta dell’amato Bowie (epoca Bluvertigo), a ricreare il clima languido dei Sessanta attraverso perfette finte cover (Canzoni dell’appartamento), a riverire il maestro De André con micidiale devozione (Non al denaro non all’amore né al cielo)? E che ora, evidentemente non sazio di cimenti, riempie un album intero di sinfonie in forma di canzone (da Bach a Wagner, ma in Contro me stesso offre un inno vertiginoso alla creatività oltre ogni frontiera di genere), divertissement raffinati (sull’aria foxtrot di U-Blue fa cantare persino la figlia Anna-Lou), intrighi orchestrali che anche Phil Spector, l’inventore del Wall Of Sound, applaudirebbe, e perle di romanticismo rétro alla Paoli-Bindi-Tenco? Come altro lo puoi definire se non diabolico?
luglio 2007
THE MELLOPHONIUM ONLINE
Scritto da Massimiliano Morelli
lunedì 09 luglio 2007
E' assai difficile rendere facile la recensione di questo nuovo disco di Morgan. Era del resto abbastanza semplice intuire, una volta acquistatolo, che ci si sarebbe ri-trovati ad ascoltare un prodotto complesso. L'Artista, con i suoi (ex?) Bluvertigo, ci aveva già da lungo abituati a melodie, arrangiamenti e versi non da subito - non da tutti - facilmente fruibili; a canzoni, benché nondimeno cantabilissime, strutturalmente e concettualmente ardite, impegnative.
Ma la vera complessità - nella forma e nella sostanza - di questo ‘Da A Ad A' (come anche del precedente, e suo primo lavoro solista, ‘Canzoni Dell'Appartamento') è diametralmente opposta aquella dei dischi incisi con, appunto, i Bluvertigo. Stessi l'intensità ed il peso specifico, ma contrario il modo di coinvolgere e quindi tessere la propria trama dentro l'ascoltatore. Laddove in passato ci si doveva confrontare con l'universo più onirico ed idealista, provocatorio e di ricerca, astratto per certi versi, dell'Autore, oggi lo si fa con quello più vascolare e muscolare, provato e vissuto se vogliamo.
Questo il paradosso che contraddistingue l'iperbole della carriera di Morgan da sei anni (circa) a questa parte: prima era la sua Arte - e da lì l'utente arrivava ad altra Arte ancora (influenze, stimoli per la ricerca, spunti per l'approfondimento e via discorrendo); ora è la sua Vita. Ed è proprio la Vita - la sua - che il Nostro canta nello splendido ultimo LP, nelle/tra/attraverso le cui undici tracce si è letteralmente gettati in un vortice d'esperienze e situazioni che inizia dove finisce e parte da dove arriva; presi per mano e poi lasciati ri-cadere dal suo spettro nello spettro del disco stesso. Qui all'ascoltatore saranno richiesti la partecipazione e l'abbandono totali, la disponibilità e l'impegno più grandi per poter raggiungere il piacere massimo che esso può offrire.
Perché ‘Da A Ad A' - (dis)continuo, (in)coerente, (in)costante, (im)pertinente, (coin)volgente - ha un massimo comune denominatore, il suo Autore (difficile, affascinante, esigente - spesso non disponibile), che porta colui che lo ascolta a diventare un voyeur estremo, analitico e passionale, carnale e sentimentale, immobile mentre spia ed ascolta da lontano e mobile quando lo è troppo e s'avvicina per vedere e sentire. Ed allora, tra un ascolto e l'altro, si andranno a sfogliare riviste, quotidiani, rotocalchi, pagine web e quant'altro per spiare nuovamente questa vita fatta di ‘...mille peripezie, traversate atlantiche-ultra-continentali...'; ‘...abbigliamenti sbagliati, casuali, odori eterosessuali...'; ‘...strade secondarie e tortuose...' ed una sensibilità, una passionalità, un amore ed una bravura che più vengono assimilati più inducono a partire e ritornare, sempre e comunque, da A ad A - undici canzoni, dicevo, che sono undici mondi a parte inseparabili, suonate ed interpretate con invidiabile maestria e sincerità, disarmanti nel loro essere uniche ed uguali a loro stesse.
O più semplicemente, bellissime. Come Morgan ha cantato la sua Musa, così il canto di lui diventa la nostra. Che non potremo mai avere, possedere né raggiungere, ma potremo in segreto cercare, in totale devozione amare e per Lei imparare a scrivere, suonare, scolpire, arrangiare, dipingere, intagliare, corteggiare, registrare, distillare, navigare, produrre, tessere, coltivare, cucinare, conquistare, ascoltare, meditare, sognare, condurre, danzare, sfidare, migliorare..................
Disco: Da A Ad A
Artista: Morgan
Etichetta: Sony/BMG
TRASPI.NET
Morgan l'Intimista letterario: Da A ad A
a cura di Gino Steiner Strippoli
12 ago 2007
Morgan l’equilibrista musicale. Colui che ricerca sempre il punto d’incontro tra la musica colta con quella commerciale, spaziando dal classicismo più puro sino a toccare i sound più di avanguardia legati a testi mai banali ma molto intimisti. Già, l’intimismo che il Maestro Marco Castoldi rilascia nella sua letteratura racchiusa in “Da A ad A (teoria delle catastrofi)” (Sony Bmg) suo ultimo album, è al limite dell’eccelso:
“Per strade secondarie e tortuose sfreccia la mia mania di evasione non prima di aver messo in discussione il senso generale delle cose….. Da A ad A sono costretto a oscillare, da A ad A bisogna ripartire, Per strade secondarie e tortuose. E scopro che la fine ha sempre inizio dal luogo lampeggiante di un conflitto nel quale il vincitore e lo sconfitto si scambiano di norma vizio e sfizio…”.
Il brano, che da il titolo all’album, è la cronaca della sua vita visto che A sta per Asia Argento ( sua ex moglie) e A per Anna ( sua figlia) ma è anche l’esempio tipico di come Morgan abbia acquisito negli anni una raggiunta maturità di sperimentatore musicale. Sentire ad un certo punto come le atmosfere si intrecciano nelle più diverse sonorità, con le guitar che disegnano arpeggi eleganti in stile wester per arrivare ai fiati che ricordano molto da vicino l’Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Morgan, e lo sappiamo da anni, è un genio. Ha una genialità fuori dal comune nel panorama italico, già intravisto con i suoi Bluvertigo. In “Amore Assurdo” la ritmica impostata dal nostro risente positivamente del miglior Battiato. D'altronde è lo stesso Franco a mixare la canzone con quel tocco di classicismo moderno che gli riconosciamo. Qui la poesia si erge nella sua eleganza più limpida ma anche più vicina all’anima dell’autore:
“…era una notte golosa di musa, una candela devo aver accesa nell’illusione di rimaterializzare il nostro disordine speciale di abbigliamenti sbagliati casuali, odori eterosessuali, una vasca da bagno io noi immersi nel vino rosso, brindare. Assurdo cosa accade una volta uscito da quella stanza, Trasformazione radicale di tutto il mio universo….”.
E’ talmente alta la capacità letteraria di Morgan che riesce anche nell’intento di materializzare nel suo album con un tocco di ironia i Musicanti di Brema insieme a Elephant Man, l’ippogrifo, l’unicorno e tanti altri animali in “Animali Familiari”, un blues molto toccante. Ma il “nostro” non dimentica anche il suo amore per il rock ne è l’esempio il ficcante inizio di “Tra 5 Min.” Un elettrico pop rock trascinante che sarà molto travolgente nelle esibizioni live. Il decadentismo notturno prende forma quando Morgan inizia a cantare “Demoni della Notte”. Le musicalità sono influenzate dalla sua passione per Bowie. Le tristezze della notte pervadono l’atmosfera tanto che Marco scrive e canta:
… Come un tempo io riparlerò a mia madre, lei non sa capire la malinconia. Fingo il distacco del passato e ne sono invece incatenato…”.
Uno dei brani più belli di sempre scritti da Morgan , capace di raggiungere l’intimo più segreto dell’anima è racchiuso in “Una Storia d’Amore e di Vanità”. Qui il Maestro Castoldi fa vedere tutta la sua capacità letteraria. Il testo e a dir poco magnifico, parole d’amore, quasi una fiaba . Ce da ringraziare Marco per la musicalità che accompagna questo brano dolcissimo, grazie anche ad un ospite d’eccezione come Cecilia Chailly all’arpa:
“ Eco, la ninfa più bella del bosco andava a spesso tra gli dei a raccontare storie. Un giorno parlando di se cominciò: Ora voglio cantare di una storia d’Amore e di Vanità: Li si assomiglia io amo lei, lei ama solo se stessa. …E dal pianto la voce nel bosco svanisce e si trasforma in sasso che muto non tace il sospiro dovuto a chi, come te cosi tanto si piace..”.
Questo è un brano che affascinerà chi lo ascolterà portandolo direttamente nella fiaba dell’amore. Proprio per non smentire la sua poliedricità musicale Morgan ci riserva un tango delicatissimo in “La Verità”. L’amore per i Beatles non può essere nascosto a lungo quando arrivano le prime note di “U-Blue”, con in più la sorpresa di una vocina femminile che canta insieme a Morgan ovvero sua figlia Anna Lou Castaldi. Un brano divertente quasi un ritornello unico, un gioco al canto con la sua bimba. Il “Maestro” poi ritorna a sperimentare tra pop rock e cantastorie con “La Cosa”, brano difficile al primo ascolto ma molto intrigante a livello sonoro. “Da A ad A” lo dicevamo prima è la visione musicale di Morgan tra i suoi due amori femminili, Anna e Asia. Ed ecco che dopo aver cantato con sua figlia Marco si mette a duettare con Asia Argento in “Liebestod” (primo e ultimo accordo dell’opera Tristano e Isotta di Richard Wagner). Un brano maestoso nel suo classicheggiante pop moderno, interamente cantato in inglese e scritto da entrambi. Superbo! Ultima canzone di questo album davvero prezioso è “Contro Me Stesso”, un brano pieno di riflessioni legato ai ricordi di giorni passati:
.. non ho giorni da dimenticare, fotografie nascoste o ambizioni di perfezioni, io non simulo il mio progresso perché sono contro me stesso”.
Il brano si chiude con un lamento africano di Badara Sek da pelle d’oca. Un album che tocca sino ad oggi la massima espressione artistica di Morgan. Ma conoscendolo in prima persona, dai tempi dei Bluvertigo, posso tranquillamente dire che nel prossimo futuro il Maestro Claudio Castoldi regalerà ancora pagine stupende di musica. “Da A ad A” è un’ album già storico.
MIAPAVIA.COM
Morgan: Da A... ad A
Furio Sollazzi
ROCKIT
Pop / Sony BMG Records
di Nur Al Habash, 24.04.2009
L'idea di partenza è bella, o quantomeno interessante: la triste constatazione che nell'Italia degli ultimi trent'anni la musica abbia contato meno di zero, diventando specchio della cultura di un paese intero che copia al posto di creare, che invece di anticipare le tendenze arriva sempre in ritardo, e che per questo non riesce ad imporsi adeguatamente in un dibattito internazionale. La soluzione, secondo Morgan, potrebbe essere quella di cancellare tutto, far finta che non sia successo niente e ripartire dai tempi d'oro con una sorta di cover album al contrario in cui si cantano delle canzoni italiane talmente belle che Elvis ce le rubava per ammiccarle alle teenagers americane.
Durante questo esperimento di alfabetizzazione musicale mister Castoldi ha deciso di scrollarsi ogni responsabilità compositiva, non suonando né riarrangiando nulla rimanendo (a suo dire) un mero cantante impegnato nella riproduzione pedissequa di grandi canzoni, probabilmente per consegnarle al grande pubblico cercando il più possibile di mantenere la loro sacralità culturale. Peccato, però, che il risultato sia disastroso.
Sarà che questo delegare ad altri il lavoro sporco non è stata esattamente una grande idea, o sarà che la sua voce, assoluta protagonista incontrastata del disco, non è di certo all'altezza di un Tenco o un Modugno, ed ha senso solo se incorniciata nei ghirigori armonici che lui stesso, di solito, si cuce addosso come il migliore dei sarti, ma l'impressione finale è che si tratti di un disco da pianobar, con arrangiamenti posticci ricoperti da interpretazioni forzate. La sensazione è un po' la stessa di quando volendosi avvicinare ai grandi della musica italiana si va a comprare una raccolta di grandi successi per poi scoprire, una volta messo su il disco, che si tratta di reinterpretazioni postume che hanno addosso tutta la stanchezza e la volgarità del tempo. Patetiche due volte perché rovinate dagli stessi interpreti originali.
Ecco, qui Morgan fa anche di peggio. Avrebbe potuto utilizzare il suo straordinario talento di compositore per dare nuova vita a bellissimi pezzi di un'altra epoca, farli conoscere al grande pubblico sotto una veste diversa ed inedita che avrebbe rinfrescato la memoria a chi ha dimenticato troppo in fretta distratto dagli spot televisivi, o a chi, semplicemente, a quei tempi non era ancora nato.
Lo slancio filologico, ancor prima che filantropico (pur apprezzabile), si annulla invece in un album mediocre in cui si torturano canzoni intoccabili come "Il cielo in una stanza" o "Lontano dagli occhi" con la scusa di lasciarle al loro vecchio splendore, con in più la pedanteria di ricantarle ben due volte ognuna, prima in italiano e poi in inglese; e se è vero (come dichiara in un'intervista al Corriere) che "l'idea che la musica stia nelle teche di vetro e che non possa essere ripresa in mano e riutilizzata è un'idea fascista" è vero anche che toglierla dalle teche per usarla come megafono per il proprio ego è altrettanto fascista.
Ed è "fascista" anche pensare che per riportare la musica italiana al suo dovuto splendore ci sia per forza bisogno di santificare l'arte del dopoguerra a discapito di tutto quello che è stato prodotto nel frattempo, -quello sì- dimenticato sotto quintali di ciarpame televisivo e plastica culturale, dal meccanismo aberrante che Morgan stesso addita affranto come causa della bassezza artistica del nostro paese.
Forse saremo smentiti dalle prossime uscite, ma "Italian Songbook Vol.1", primo di una serie di tre raccolte, sembra proprio una manovra culturale andata a male o, in alternativa, un esperimento mediatico riuscito perfettamente.
ROCKOL
Morgan
ITALIAN SONGBOOK VOL.1
Sony (CD)
Non so in quanti possano vantare la cultura musicale e la padronanza di linguaggio che possiede Morgan. Magari ce l’hanno in molti e semplicemente non sono così egocentrici ed interessati a sfoggiarla in pubblico, a farne quasi un fatto di principio.
Per parlare del nuovo disco del cantante dei Bluvertigo, bisognerebbe forse partire da un presupposto: la musica leggera italiana degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta è patrimonio culturale, è fonte di ispirazione per la maggior parte dei giovani cantanti-cantautori che fanno i primi passi nel mondo musicale in questi anni, e dovrebbe essere “normale” conoscerla (Parere solo personale? Spero di no).
Morgan lo sa, e ne parla. Lo dice, lo canta, lo scrive, lo suona. E’ questo, anche, che fa di “Italian Songbook vol.1” un bel disco che vale la pena ascoltare, coccolare e studiare. L’avrebbero potuto fare in molti, ma l’ha fatto lui. Lui che fa il giurato in un talent show televisivo, lui che attira anche il gossip.
Poi lo senti cantare “Il mio mondo” di Umberto Bindi (con alcune aperture forse troppo accentuate, ma che sono poi le stesse che ti fanno amare questa versione) o “Lontano dagli occhi” di Sergio Endrigo (voce in primo piano, travolgente) e se sei un ascoltatore curioso, ti dimentichi di tutto ciò che è Morgan personaggio, e rimani fermo a sentire.
Rimani a sentire che forse serve davvero che qualcuno si faccia portavoce di questi splendidi brani, di questi autori che sapevano scrivere d’amore e nient’altro, per lo più sconosciuti ai giovani d’oggi.
E va bene anche che dei cinque brani italiani di questo primo volume, ce ne siano di inflazionati come “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli o “Resta cu’mme” di Domenico Modugno tradotta da Morgan dal napoletano all’italiano (“Resta con me”) dandone una bellissima e raffinata interpretazione. Tra le tredici canzoni in totale (cinque sono la versione in inglese originale dei brani in italiano, ad eccezion fatta di “Qualcuno tornerà” di Piero Ciampi, tradotta in inglese – letteralmente – da Morgan in “That someone”), c’è anche spazio per una ritrovata “Back home someday”, brano originale in inglese cantato da Sergio Endrigo per la colonna sonora di un film western italiano di fine anni Sessanta.
L’approccio da interprete, l’attenzione per ogni dettaglio - anche se in questo album non ha messo mano ad arrangiamenti e strumenti, ma solo voce al microfono - fanno di Morgan un artista capace che può davvero portare alla riscoperta di una cultura musicale d’altri tempi. Non è detto che sia il più bravo in assoluto, o che sia un genio indiscusso, semplicemente è il solo a farlo, e ci riesce più che bene. E poi l’ha detto anche lui: “non faccio parte della storia della musica italiana… non ancora”. Proprio così, non ancora, ma anche secondo me, prima o poi…
Daniela Calvi
MUSICA E DISCHI
Italian songbook vol. 1 ***
Produzione: Stefano Barzan & Morgan
Columbia (Sony Music) 88697495612
Dopo l’esperienza con i Bluvertigo, i due album di inediti da solista (il riuscito “Canzoni dell’appartamento” e il più complesso “Da A ad A”) inframmezzati dalla riproposizione integrale di “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André, Morgan riprende lo spirito filologico di questo progetto appena citato, sommandolo al ruolo di giudice/maestro assunto in X-Factor. In “Italian songbook vol.1” (che presuppone almeno un vol. 2 con brani inediti da lui scritti), Marco/Morgan ha voluto recuperare canzoni italiane degli anni 50/60 di Bindi, Paoli, Modugno, Endrigo, ecc. che vennero a suo tempo tradotte in inglese, non sempre con risultati di successo. Oltre a queste (Il mio mondo/You are my world è forse la più efficace) Morgan ha inserito Back home someday, scritta direttamente in inglese da Sergio Endrigo, Qualcuno Tornerà di Piero Ciampi da lui trasformata in That someone e una composizione orchestrale scritta insieme al produttore Stefano Barzan. L’operazione filologica è talmente corretta che a tratti risulta fredda: senza un riadattamento moderno delle canzoni l’intento didattico/divulgativo di partenza rischia così di non realizzarsi a pieno.
di Katia Del Savio
pubblicata su Musica & Dischi: n.729 - 2009/05] pp. 31
SENTIREASCOLTARE
Morgan
Italian Songbook - Canzoniere Italiano Vol. 1
Columbia Records
Invece resta fedele all'idea che "un conto è scrivere musica, un conto è pubblicarla" e la ribadisce proponendo un'operazione di metamusica a forte rischio di reazioni perplesse e nemmeno troppo adatta ad un pubblico da reality, centrata com'è su classici degli anni tra '50 e '60.
L'idea infatti è quella di analizzare i rapporti del nostro canzoniere nazionale con l'estero, ricordando quando non erano solo Torna a Surriento e O sole mio ad essere tradotte e reinterpretate da cantanti stranieri ma -pur con minore risonanza- Il cielo in una stanza, Resta con me, Lontano dagli occhi e Il mio mondo. Morgan le canta sia in italiano che nella versione inglese e aggiunge Back Home Someday, che Endrigo aveva scritto direttamente in inglese per un film di Fulci, e la ciampiana Qualcuno tornerà, anche questa in due versioni, con quella inglese fatta da Morgan stesso perché all'epoca la canzone non ebbe versione estera ma, a detta del nostro, avrebbe potuto averla con successo.
Come si vede, un'operazione un po' cervellotica, non proprio l'acquisto più probabile di un pubblico di giovani, anche perché gli arrangiamenti (non realizzati da lui, che si limita a scegliere le canzoni e a cantare) sono pienamente nello spirito dell'epoca, e la voce si adatta al repertorio fino a un certo punto.
Poi, se uno ama il vintage e se si passa sopra alla stranezza di un disco con le canzoni doppie non è neanche male: Back Home Someday sembra Scott Walker prodotto da Hazelwood, i due intermezzi orchestrali si inseriscono alla perfezione e in generale l'effetto straniante è anche piacevole, benché resti qualche perplessità sulla necessità dell'operazione.
Il secondo volume sarà dedicato a quelle canzoni che avrebbero potuto diventare famose all'estero e il terzo saranno originali di Morgan scritti come se fossimo in quegli anni.
Vedremo: il progetto andrà valutato nell'insieme, per ora, come detto, il giudizio oscilla tra approvazione e dubbi.
(6.8/10)
Giulio Pasquali
Mario Luzzatto Fegiz, Fegiz Files - Radio Capodistria 5.2.2012
AUDIO
Trascrizione:
La domanda che io da tempo mi pongo è: è un genio o è un bluff?
Allora, nel disco che si chiama Italian Songbook volume 2, Morgan abbandona il ruolo di istrione televisivo e prosegue il viaggio musicale nel grande repertorio italiano che aveva iniziato nel 2009 pubblicando Italian Songbook volume 1, tanto è previsto un terzo volume.
A prima vista quello di Morgan è un percorso culturalmente ammirevole, un lavoro di ricerca e di approfondimento di tutto rispetto.
Nel tentativo di dare nuova vita a brani di Tenco, Gaber, Endrigo e Modugno, Morgan conferma il suo temperamento stravagante con arrangiamenti decisamente eclettici.
Gusto retrò, modernità e un pizzico di presunzione coesistono in "Donna bella non mi va", allegra, frivola e spensierata e "Io che non vivo senza te", tra l'altro è stata scelta come colonna sonora del film di Lucini e Brizzi "Oggi sposi", e nella versione inglese è entrata nel repertorio di molti grandi come Elvis Presley e Dusty Springfield.
Poi c'è "Parla più piano" di Nino Rota, dal film "Il padrino", davvero suggestiva.
Insomma questo di Morgan, Italian Songbook volume 2, è un disco insolito, probabilmente non indispensabile, cioè ne avremmo fatto anche a meno, ma è comunque da consigliare a tutti coloro che non si accontentano di una lettura superficiale del repertorio degli anni '50 e '60.
Morgan dimostra di essere in grado di mescolare le carte e modernizzare un mondo musicale del passato rendendolo attuale.
MAX - BLOG PENSIERI E PAROLE
Il nuovo album di Morgan? Desolante!
Mercoledì 1 febbraio 2012 - di Massimo Poggini
Lo aveva minacciato e, purtroppo, è stato di parola: di Italian songbook è uscito anche il secondo volume. E se già il primo mi aveva lasciato parecchio perplesso, questo è decisamente peggio. La formula è identica: prende un mazzetto di canzoni del passato e le “coverizza”. Il problema è che con un’unica eccezione (Marianne, che Sergio Endrigo presentò all’Eurovisione nel 1968), alle altre canzoni Morgan nella migliore delle ipotesi non aggiunge niente: è il caso di Io che non vivo di Pino Donaggio, riproposta sia in italiano, sia in inglese. Alcune le fa letteralmente a pezzi, valga come esempio la terrificante versione di Parla più piano (dalla colonna sonora de Il Padrino, musica di quel genio di Nino Rota) che chiude l’album. Ma Italian songbook vol. 2 è infarcito di “chicche” in negativo: se Si può morire di Nanni Svampa nella versione dei Gufi aveva un senso, nelle mani di Morgan diventa una nenia tediosa. Ugualmente irritanti sono le cover de Il gioco del cavallo a dondolo di Roberto De Simone, Abbracciami di Charles Aznavour, Non insegnate ai bambini dell’immenso Giorgio Gaber e Hobby, un pezzo “minore” di Luigi Tenco. Morgan ripropone in modo proditorio pure Sole malato di Domenico Modugno, anche in questo caso sia in italiano, sia in inglese: io prediligo di gran lunga la versione che ne fece un paio d’anni fa Mike Patton, alias Mondo Cane. Completano l’album due brani inediti composti da Morgan: Desolazione, la prima canzone del disco, pezzo strumentale che è poco più di un divertissement; e Una nuova canzone, che mi pare brutta e inutile al tempo stesso.
Che altro dire? Personalmente Morgan lo conosco da quasi vent’anni, cioè da quando pubblicò le primissime cose con i Bluvertigo . Parafrasando il mitico Piero Ciampi, sostengo da sempre che “ha tutte le carte in regola / per essere un artista”. Il problema, proprio come faceva il grande cantautore livornese (al quale tra l’altro Morgan ha pure dedicato un tributo), è che si butta via. Tra un X-Factor e l’altro, anziché concentrarsi su ciò che in teoria dovrebbe saper far meglio (la musica), vaga negli spazi siderali alla ricerca di nuove esposizioni mediatiche. Probabilmente avrebbe bisogno di una persona (un manager, un amico, un cugino…) capace di spiegargli come gira il mondo e che, quando fa delle cazzate, abbia il coraggio di dirglielo chiaro e tondo, magari a muso duro. Altrimenti, andando avanti di questo pazzo, il buon Marco Castoldi in arte Morgan ce lo ricorderemo semplicemente come “il cantante spettinato”. E per uno che ambisce a fare dell’arte non è certo un complimento!
GRANDIPALLEDIFUOCO.COM
Morgan Vs Ruggeri
Parliamo quest’oggi di due uscite discografiche che sono in se “riproposizioni” ma che mantengono alto il piglio della riscoperta e sono tutto sommato operazioni qualitativamente valide.
Iniziamo con Marco Morgan Castoldi che rispetto al precedente volume uno, in questo Italian Songbook, scava ancor più in un repertorio di nicchia e soprattutto, scompare quel fastidioso effetto karaoke che pervadeva l’opera prima, facendola risultare noiosa e banale.
Da segnalare oltre ai due inediti, lo strumentale “Desolazione” e “Una nuova canzone”, divertsmant antico e moderno allo stesso tempo, la versione di “Si può morire” (sempre attuale) di Nanni Svampa con i Cluster, Marianne di Endrigo, Sole Malato di Modugno e Hobby di Tenco.
(...)
ROCKIT
Morgan, è uscito "Italian Songbook Vol.2"
Il 24 gennaio è uscito un disco di Morgan. Se non ve ne siete accorti, tranquilli: è stata l'uscita più silenziosa nella storia dell'ex leader dei Bluvertigo.
Il disco uscito è "Italian Songbook vol. 2", ovvero la seconda parte del progetto di Morgan di rivisitazione di grandi canzoni della storia della musica italiana.
Il volume precedente è datato 2009, mentre l'ultimo disco di inediti rimane "Da A ad A", uscito nel 2007. Un secolo e mezzo fa
SENTIREASCOLTARE
C'era una volta Marco "Morgan" Castoldi, uno che era passato con rara disinvoltura, almeno in questo Paese, dagli esperimenti sul pop-rock non troppo strettamente 80s, a quelli sul cantautorato italiano del passato e forse anche del futuro. Quel che rimane di una mente musicalmente brillante è un ultimo importante e bellissimo disco di inediti che risale a 5 anni fa, vale a dire all'estate del 2007 cui sono seguiti due Best of e, con questo Italian Songbook Vol.2, anche due dischi di cover. Dimentichiamoci di questa forma di prolungata e agonica morte artistica, come da contratto Sony, e lasciamo dunque campo libero a quello che sono, di fatto, questi 15 brani: 13 cover e 2 trascurabili inediti.
Tutto quel che succede in questo secondo volume del canzoniere italiano è un imbruttimento delirante e borderline della materia trattata, un imbruttimento essenziale, vale a dire delle proprietà originarie dei pezzi, distruzione insomma di quello che poteva essere, almeno in teoria, un gioco di sperimentazioni su una materia viva, checchè se ne dica, come quella dei classici della canzone italiana. Quel che si ascolta, invece, è un ammasso di suoni che di sperimentale hanno poco, che si divertono a sovrapporsi sghembi gli uni sugli altri, in un fiera di canti e controcanti, di piroette e giravolte in digitale che più che caleidoscopiche risultano fuorvianti, alienanti, distruttive di una forma canzone che, in ogni caso, andava di certo rispettata.
Più che minimal, il canzoniere italiano, si direbbe midimal, in un trionfo di suoni midi che se nel volume precedente rispettavano le regole del piano-bar delle Moby Dick dirette in Sardegna, qua prendono un'astronave per la luna. A che serve dire che i nomi snocciolati qua sono Endrigo, I Gufi, un De Simone raro e originariamente straziante e grandioso (Il gioco del cavallo a dondolo), uno dei più bei Modugno che si possano ascoltare? Nulla, probabilmente, perché delle origini resta poco. Una cosa però va detta, il Castoldi, quando fa o rifà musica, segue sempre sé stesso, se il volume uno era dunque la privazione dell'originalità, della scrittura e della sobrietà espressiva, qua siamo nel campo del delirante fluttuare. Confidiamo nell'avvenuto ritorno a Mescal e nel grandioso album di inediti che Morgan annuncia da tempo. "Ho visto le migliori menti della mia generazione…" ma si spera - ancora - di no.
(5.2/10)
Giulia Cavaliere
ROCKIT
di Renzo Stefanel, 03/04/2012
Rubo questa riflessione dal Facebook della collega Giulia Cavaliere: “Una volta tanti anni fa su GQ è uscito un bellissimo servizio fotografico di Morgan e Asia Argento, intervallato da meravigliosi scambi di poesie, sms, e amore che, almeno a noi da fuori, sembrò proprio vero. A distanza di 12 anni Morgan posa vestito, con la sua nuova fiammella... per «Chi». Il declino si è definitivamente compiuto”. Dodici anni fa, aggiungo io, era uscito da un anno “Zero” dei Bluvertigo, che conteneva classici come “La crisi” e “Sono=Sono”.
Classici, certo: tutti di pugno di Morgan, però. Dopo, sappiamo com’è andata: l’iniziazione alla coca proprio da parte di A.A., così si dice e chissà se è vero, il divorzio, l’affidamento negato della figlia, lo scioglimento dei Bluvertigo, un primo album solista gioiellino, “Canzoni dell'appartamento”, un inutile rifacimento filologico di “Non al denaro, non all'amore né al cielo” di Fabrizio De André, un secondo album solista, “Da A ad A”, metà aspirante gioiellino e metà fuffa ricoperta da sontuosi arrangiamenti, opera dello stesso Morgan e dell’ottimo Carlo Carcano, ma sempre fuffa, la notorietà televisiva grazie a X-Factor, un primo tributo alla tradizione italiana, “Italian Songbook Volume 1”, davvero inutile e povero (quattro canzoni in doppia versione, italiana e inglese), ma come al solito arrangiato da Dio, lo scandalo del crack, no Sanremo, il ritorno in tv, prima con Sgarbi che lo cazzia e umilia in diretta e poi di nuovo a X-Factor ma su Sky, e adesso questo “Italian Songbook Volume 2”.
Che da un lato sarebbe anche apprezzabile rispetto al primo, perché offre 12 classici più o meno dimenticati della canzone italiana, di cui solo uno in doppia versione, come al solito ottimamente arrangiati, e perfino due canzoni autografe del principino di Monza, il che è un evento in sé. In realtà anche questo disco mostra che il declino di Morgan si è definitivamente compiuto, come il servizio su «Chi» con la nuova fiammella, sicuramente disinteressata secondo il modello Olgettina.
I due inediti sono imbarazzanti: “Desolazione” (i latini dicevano “nomen omen”…) sguazza tra lounge, Thelonius Monk e Stravinsky senza combinare nulla di buono, perlomeno nel senso di originale, in quanto l’esito è “un già sentito in qualche colonna sonora anni 60-70” (non escludo qualche plagio occultato, ma non ho certezze); “Una nuova canzone” è anche peggio, dato il metatesto che gioca proprio sul non avere più ispirazione e la musica che si muove tra neworleanismi jazz beffardi, solite svisate dodecafoniche, atmosfere blues da versione televisiva di un bar malfamato, che, come al solito, non produce niente di buono. La classica montagna (di cultura) che non riesce a partorire neppure il proverbiale topolino.
In più c’è il senso dell’operazione complessiva di “Italian Songbook”: apparentemente una celebrazione del grande patrimonio perduto della canzone italiana; in realtà la necessaria compensazione all’immagine di trasgressivo maledetto (diciamocelo, la versione colta di Fabrizio Corona), in modo che il pubblico televisivo, sotto tonnellate di cerone buongustaio, trovi pane per i suoi denti, e cioè musica comunque digerita e digeribilissima, senza nessun guizzo di novità. Insomma, una Retromania ad uso dei rotocalchi, delle comparsate tv, dei servizi su «Chi», che paga, eccome se paga, e magari di qualche critico “serio”, capace di abboccare all’amo e di invitarlo (pagato) al premio Tenco o Ciampi o Fra’ Cazzo da Velletri di turno.
Chiude l’album la cover di “Parla più piano” di Nino Rota (che sarà anche stato Nino Rota, ma le sue boiate le ha scritte anche lui, e questa è una di esse, degna del peggior Fausto Papetti. Vorrei graziosamente ricordare che le puzzette di Beethoven sono sempre puzzette), in cui spicca un crescendo finale di voci che si inseguono, sempre più dissonanti, ma in grado di creare alla fine una nuova armonia.
Provocatoriamente, l’ultima cosa che si ode di Morgan è lui che tira su col naso: tanto per far parlare, tanto per fare un po’ di sarcasmo verso chi gli ha voluto tanto male perché drogato (e qui sarei anche con lui, contro il bacchettonismo ipocrita dei dirigenti Rai), tanto per vedere chi abbocca all’amo, nuovamente. Peccato che quella sniffata diventi invece una fotografia impietosa: dello stato in cui versa Morgan (ci sono ottime cliniche per la disintossicazione e ottimi psicanalisti: basta saperli cercare) e della lacrima che scende sulla guancia del ex-fan deluso di fronte a tanta pochezza e tanto spreco di talento. Una volta, dodici anni fa, avevamo una rockstar emergente. Oggi ci resta una vedette di successo, in piena decadenza umana e artistica. Il che non mi fa piacere per nulla, sia chiaro.
di Marco Maresca, 12/04/2012
Morgan riscopre e reinterpreta (senza voce) i classici italiani L’ossessione di Morgan per artisti quali Luigi Tenco, Sergio Endrigo e Domenico Modugno non poteva certo esaurirsi col primo volume del canzoniere italiano, pubblicato dal poliedrico artista brianzolo nel 2009. Esce quindi, per Columbia, Italian songbook vol. 2, il secondo capitolo di una trilogia dedicata alla riscoperta di alcuni brani, di assoluto valore mondiale, risalenti all’età dell’oro della musica italiana.
Nel secondo volume del suo canzoniere, Marco Castoldi (vero nome dell’ex leader dei Bluvertigo) torna a ciò che sa fare meglio: rinnovare, reinterpretare, riarrangiare e soprattutto suonare. Nel primo volume si limitava a cantare: una scelta quasi suicida, dal momento che la sua voce era già in declino. Ma purtroppo la successiva operazione alle corde vocali l’ha definitivamente immolato sulla via dell’afonia. Ecco quindi la scaletta di un’ipotetica serata di pianobar con il rauco ex cantante dei Bluvertigo, racchiusa nell’album Italian songbook vol. 2.
Dopo una breve introduzione strumentale, a cura dello stesso Morgan, intitolata Desolazione, il Castoldi ci porta al ’68, e a Sergio Endrigo che canta la dolce ed intima ballata Marianne. Ne risulta, nella reinterpretazione di Morgan, un brano solare e quasi divertente, complice l’atmosfera casalinga della registrazione, con tanto di imprecisioni e risate isteriche. Segue una cupa rivisitazione elettronica, in stile Depeche mode, di una canzone dei Gufi intitolata Si può morire. Qui la voce di Morgan è ai minimi storici, e a nulla serve l’aiuto del gruppo vocale dei Cluster, proveniente da X factor. Troviamo, poi, un grande classico: Io che non vivo (english version) di Pino Donaggio, a testimonianza dell’internazionalità della musica italiana nei suoi anni d’oro. Morgan ha, poi, il merito di farci conoscere Hobby, oscuro brano di Luigi Tenco con un testo più che mai attuale. Un’altra canzone che rischiava di perdersi per sempre, anch’essa con un testo sconvolgente, è Il gioco del cavallo a dondolo, di Roberto De Simone. Qui finalmente Morgan torna ad essere quasi quello dei Bluvertigo. Abbracciami di Charles Aznavour risulta piuttosto noiosa, e la successiva Donna bella non mi va, di Rodolfo De Angelis, è uno scherzo di pessimo gusto da teatro d’arte varia. La successiva Speak softly love non è altro che la reinterpretazione del tema scritto da Nino Rota per Il padrino. Segue l’immancabile Domenico Modugno, con Sole malato, che l’allievo ripropone con rispetto. Poi Morgan ritiene di dover inserire un inedito, intitolato Una nuova canzone, che non prende alcuna direzione. Il brano nuovo ha, però, il merito di spezzare il ritmo ed alleggerire il disco, per poi introdurre Non insegnate ai bambini, di Giorgio Gaber. Morgan merita un applauso per aver inserito questo brano nel suo canzoniere dedicato ai brani da salvare, e la sua interpretazione, parecchio diversa rispetto all’originale, ha il merito di non sottrarre niente ad una canzone già bella di suo.
Per un ipotetico bis della sua serata di pianobar, Morgan ci propone Pino Donaggio con Io che non vivo (senza te), stavolta in versione italiana, seguita da Sole malato (english version) di Modugno e Parla più piano, versione italiana del già citato tema di Nino Rota per Il padrino.
In conclusione, ci troviamo a commentare un album che mostra qualche importante pregio sommerso da una marea di difetti, più o meno rilevanti a seconda dei gusti dell’ascoltatore. Il lato positivo è sicuramente il coraggio nella scelta dei brani, e quindi il valore storico a posteriori. Un esempio: il Maestro Roberto De Simone è un illustre compositore di musica classica, il quale soltanto una volta si è cimentato in un album di musica leggera, da cui Morgan ha ripescato Il gioco del cavallo a dondolo. Il Castoldi ha quindi letteralmente salvato da un vinile anni ’70 un’ottima canzone destinata a non essere ristampata su CD. Il lato negativo è la triste constatazione che Morgan ha definitivamente perduto la voce e purtroppo a volte anche la capacità di reinterpretare brani altrui senza perdere il senso della misura. Ed è un peccato, dato che stiamo parlando dello stesso Morgan che qualche anno fa aveva magistralmente riarrangiato e reinterpretato per intero il leggendario Non al denaro, non all’amore né al cielo, con tanto di lodi di critica e pubblico, e con tanto di onorevole Premio Fabrizio De André.