Revolart.it 13.12.2013
di Alice Dominici
Era dai tempi bui de La sera, il brano dello scandalo squalificato da Sanremo nel 2010, che Morgan non regalava ai suoi fans un inedito: l’ultimo album di inediti è infatti Da A ad A, pubblicato nel 2007 e seguito daItalian Songbook (vol. 1 e 2), ineccepibile opera di riarrangiamento e reinterpretazione di alcune tra le canzoni più famose della tradizione italiana.
Un cantautore eclettico e multiforme, una funzione dalle forti oscillazioni la cui variabile indipendente è l’evidente connotazione autobiografica dei testi, accompagnata abilmente da un alto livello di ricerca musicale a partire dalla fase della composizione per arrivare fino all’arrangiamento e all’interpretazione, apprezzabili fin dai tempi di Iodio, il primo singolo con i Bluvertigo.
Altrove è il primo singolo da solista di Marco Castoldi, in arte Morgan. Ha anticipato l’uscita dell’album Canzoni dell’appartamento, pubblicato nel 2003 dalla Columbia Records.
Questo brano è forse la canzone che meglio rappresenta il talento di Morgan, la sua capacità di fare tesoro dell’eredità musicale del passato, ma arricchendola con influenze moderne e innovative. Dal punto di vista verbale, il testo costituisce un vero e proprio brano letterario che pesca da elementi autobiografici e li trasfigura per raccontare la storia di un musico saltimbanco, bohemienne e romantico. Un vero e proprio eroe di altri tempi sempre in bilico tra genio e follia.
La spiegazione del testo deve necessariamente partire da una considerazione: la canzone si apre con una parola, “Però”, cioè quella che in italiano è una “congiunzione avversativa”: qualcosa cioè che unisce, ma volendo dire qualcosa di diverso. Cosa unisce, dato che la canzone è appena iniziata? è un trucco, un artificio che ci fa sentire come se fossimo arrivati nel mezzo di una storia, e infatti è così: il protagonista ci racconta la sua vita, che però non inizia con il racconto, ma molto tempo prima e così lo seguiamo passo passo, ma senza sapere cosa è accaduto prima. E cosa “nega”, questo però? Tutto ciò che è avvenuto prima, che noi non conosciamo. E subito il primo dubbio: “cosa vuol dire però“. Lui stesso si chiede cosa significhi davvero quella parola: noi ci chiediamo perché la usa, lui si chiede cosa significhi. Già da questo lascia trasparire la propria peculiarità: è un uomo singolare, che si domanda il perché delle cose.
E il fatto che sia una persona particolare traspare anche dalla frase dopo: Mi sveglio col piede sinistro/Quello giusto. Questo verso fa riferimento sia al detto “partire col piede giusto” per indicare un progetto che parte bene, sia al fatto (al contrario) che la sinistra è considerata tradizionalmente simbolo delle cose sbagliate, strane, misteriose (i sinistri stradali per indicare gli incidenti, un rumore sinistro per indicare qualcosa che spaventa). Quindi il protagonista è uno per cui è “giusto” fare cose insolite, strane, misteriose.
Egli si rivolge ad un interlocutore, a cui dice in confidenza che forse sa già di cosa parla, ma che la scelta della “follia”, quindi un comportamento anticonformista, irrazionale, può essere ciò che conduce realmente alla felicità, in contrapposizione con scelte tradizionali e “normali” Forse già lo sai/che a volte la follia/Sembra l’unica via/Per la felicità.
La chiave della follia come elemento positivo viene attestata anche dal pezzo successivo, C’era una volta un ragazzo/chiamato pazzo/e diceva sto meglio in un pozzo/che su un piedistallo che racconta una storia di un ragazzo (nel quale si potrebbe riconoscere lo stesso Morgan) che era ritenuto da tutti non normale e preferiva non stare su un piedistallo davanti a tutti, ma nascondersi in fondo ad un pozzo. Di nuovo il rovesciamento del concetto di “normalità”, di nuovo un comportamento insolito, bizzarro. Ma che per le persone timide e introverse è perfettamente comprensibile.
Il narratore prosegue raccontando di un’altra vena di pazzia: il non riconoscere persino se stessi, se non attraverso qualcosa che ci riporta ad una immagine di noi del passato nella quale rispecchiarsi, ed è una giacca simbolica che consente di dare questa sicurezza, questa tranquillità Oggi indosso/la giacca dell’anno scorso/che così mi riconosco/ed esco. (Si noti che Morgan è noto per le giacche stravaganti ed eccentriche che è solito indossare).
Il passare del tempo è ben rappresentato anche dai fiori Dopo i fiori piantati/quelli raccolti/quelli regalati/quelli appassiti in un ciclo che rappresenta la vita.
Il ritornello è forse il culmine di questa testimonianza: una sorta di desiderio di fondersi con il mondo nella sua complessità, nel non volersi circoscrivere nello spazio (e nel tempo) ad un luogo e a vincoli materiali, anche se questo può significare smarrimento o al limite uno sprofondare in basso: è comunque il viaggio che conta, la scelta, il movimento come simbolo di vita Ho deciso/di perdermi nel mondo/anche se sprofondo/lascio che le cose/mi portino altrove/non importa dove.
Il viaggio è movimento, ma è anche impegno e fatica. A cosa si rinuncia? Di cosa ci si fa carico che rende il movimento stesso più difficile? Tutta a vita, la storia che ci passa tra le mani vivendo è qualcosa che ci costa in termini di tempo, ed energie e se all’inizio si riesce ad andare e ci sembra di avere energie inesauribili, in realtà ad un certo punto ci si accorge che non si può tornare indietro: quello che abbiamo vissuto ci ha cambiato per sempre ed è un viaggio senza ritorno: un tempo era semplice/ma ho sprecato tutta l’energia/per il ritorno.
La vita è quindi un viaggio nel quale ciò che viviamo diventa un fardello da portare ed è così che il protagonista decide di rompere col passato e con ciò che gli fa da zavorra: smette di rimproverarsi per le cose taciute e sceglie di ignorare tutto quello che è la sua “cosmogonia” (che significa “l’origine del mondo”), cioè tutto quello da cui proviene, le proprie origini. Mette da parte tutto, e mette da parte anche se stesso, come se fosse davanti ad una completa rinascita: Lascio le parole non dette/e prendo tutta la cosmogonia/e la butto via/e mi ci butto anch’io. Il viaggio non potrà riportarlo all’origine ma potrà forse continuare.
Racconta poi della sensazione di quanto si fa finta di niente, ci si racconta che va tutto bene e ci si affida a qualcosa che ci dà conforto – anche se non ci garantisce nessuna protezione effettiva – come se sotto ad un bombardamento ci si proteggesse sotto al calore di una coperta (Sotto le coperte/che ci sono le bombe) e poi quando ci si smette di raccontarsi menzogne e si guarda la realtà in faccia è come se i nostri peggiori incubi fossero diventati veri (è come un brutto sogno/che diventa realtà)./Come uscire da questa situazione che nega consolazioni e certezze? Non ci sono più energie, tutto questo viaggiare ci ha spossati, ci ha lasciato inermi e smarriti. Che fare? Ci si può dare del tempo, sospendendo le azioni (Applico alla vita/i puntini di sospensione/Ché nell’incosciente/non c’è negazione) perché in questo oblio non c’è azione, ma non c’è nemmeno negazione (della vita).
Questo sospendere il viaggio, questo porre una tregua alla lotta è difficile, commuove, ma è un elegante congedo (Un ultimo sguardo commosso all’arredamento/…e chi si è visto, si è visto).
Il brano si chiude con una frase molto significativa: Altrove è un invito a non farsi incasellare nel conformismo, in posizioni precostituite, in ragionamenti predigeriti (Svincolarsi dalle convinzioni/dalle pose e dalle posizioni).
Un invito a pensare sempre e comunque con la propria testa.
Morgan, insieme a Elio, Mika e Simona Ventura sarà tra i giudici della stagione 2013 di X Factor.
VIDEO di Altrove
Il testo e il link per scaricare Altrove su iTunes
Però, (cosa vuol dire però)
Mi sveglio col piede sinistro
Quello giusto
Forse già lo sai
che a volte la follia
Sembra l’unica via
Per la felicità
C’era una volta un ragazzo
chiamato pazzo
e diceva sto meglio in un pozzo
che su un piedistallo
Oggi indosso
la giacca dell’anno scorso
che così mi riconosco
ed esco
Dopo i fiori piantati
quelli raccolti
quelli regalati
quelli appassiti
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
lascio che le cose
mi portino altrove
non importa dove
non importa dove
Io, un tempo era semplice
ma ho sprecato tutta l’energia
per il ritorno
Lascio le parole non dette
e prendo tutta la cosmogonia
e la butto via
e mi ci butto anch’io
Sotto le coperte
che ci sono le bombe
è come un brutto sogno
che diventa realtà
Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
Applico alla vita
i puntini di sospensione
Ché nell’incosciente
non c’è negazione
un ultimo sguardo commosso all’arredamento
e chi si è visto, s’è visto
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
Lascio che le cose
mi portino altrove
altrove
altrove
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni
MUSICA E DISCHI
Morgan
Canzoni dell'appartamento ***1/2
Produzione: Morgan e R. Colombo
Columbia (Sony Music) COL5119042
È certo che la personalità di Morgan è troppo complessa per essere contenuta in un solo ruolo. E infatti, gruppo a parte, prima di arrivare qui il frontman ha fatto molte altre cose: libri, collaborazioni, ecc. Un percorso grazie al quale ha accumulato altre esperienze prima di chiudersi nell'appartamento del titolo per comporre e realizzare questo CD. Inizialmente doveva essere una raccolta di cover ma poi, visto l'affollamento di progetti simili (Franco Battiato, Robbie Williams), Morgan ha scelto un'altra strada salvando solo Non arrossire di Giorgio Gaber e Se (If di Roger Waters), e restando tuttavia in una dimensione da lui stesso definita retrò. Rispetto ai Bluvertigo qui risulta più estroverso, solare, psichedelico, perfino più beatlesiano (Ragioni delle piogge), lui che aveva sempre individuato in David Bowie il principale punto di riferimento. In realtà sono molti gli spunti interpretativi: un romanticismo sonoro e poetico di sorprendente calore, un tappeto d'archi mai troppo soffice, improvvise virate psichedeliche, citazioni coltissime. Il risultato è diversissimo dalla discografia dei Bluvertigo (meno male, altrimenti perché congelare - e non sciogliere - il gruppo?) ma al tempo stesso coerente con la personalità del musicista.
di Antonio Orlando
pubblicata su Musica & Dischi: n.664 - 2003/05 pp. 59
MUSICALNEWS
Pubblicato il 09.12.2003
Morgan dall'appartamento al Premio della Critica
di Antonio Ranalli
L'album "Canzoni dall'appartamento" di Morgan, dopo il Premio Tenco, si aggiudica anche il Premio della critica, indetto da Musica & Dischi. Secondo posto per "Caramella Smog" di Samuele Bersani. Tra gli stranieri si impone Ben Harper.
Marco "Morgan" Castoldi con le sue "Canzone dell'appartamento" (Sony Music) vince il premio della critica promosso dalla rivista specializzata Musica & Dischi. L'artista è stato votato da una giuria composta da critici e giornalisti musicali di varie testate (quotidiani, mensili, siti web ecc.). L'artista ha battuto l'altro capolavoro dell'anno, ovvero "Caramella Smog" (BMG) di Samuele Bersani. In effetti tra i due album la scelta era piuttosto ardua vista l'alta qualità del materiale proposto da Morgan e Bersani.
[SPOILER]Tra gli stranieri si è affermato Ben Harper, mentre il miglior esordio dell'anno è stato considerato quelle del gruppo Le Vibrazioni.
Giunto alla XXIV edizione, il Referendum "Premio della Critica" indetto annualmente dal mensile “M&D Musica e Dischi” fra gli esponenti della critica e della stampa specializzata in Italia, nei differenti generi musicali, e volto a segnalare i migliori dischi pubblicati sul mercato nazionale.
Il “Premio della Critica” istituito da “M&D Musica e Dischi” – storico mensile specializzato nel settore dell’industria musicale, fondato nel 1945 - nel corso degli anni si è affermato come il più prestigioso riconoscimento per la produzione discografica pubblicata in Italia in tutti i generi musicali. Si è imposto all’attenzione fuori dalle luci dei riflettori e senza necessità di cerimonie ufficiali, grazie alla trasparenza del metodo su cui si regge: M&D invita ogni anno 100 critici ed esperti di musica – scelti fra gli esponenti delle più rappresentative testate giornalistiche in Italia – a esprimere le proprie preferenze sulla produzione edita nell’arco dell’anno precedente, nei vari generi, e ogni anno a dicembre diffonde i risultati pubblicando integralmente tutte le schede pervenute e la classifica dei vincitori, stabiliti secondo un punteggio aritmetico.
Le categorie prese in considerazione sono cinque: classica/strumentale, classica/vocale, jazz, pop & rock e dance. I critici designati in ogni categoria esprimono le proprie segnalazioni votando, nell’ordine, i migliori cinque dischi di produzione italiana e altrettanti di produzione straniera; per la categoria pop & rock è inoltre prevista una segnalazione supplementare per la migliore opera prima.
I risultati di questa XXIV edizione, insieme alle schede pervenute dai “giurati” nelle differenti categorie, verranno riportati nel numero di “M&D Musica e Dischi”, in edicola dal 10 dicembre .
Il premio ha permesso, nel corso degli anni, di consacrare molti nomi fra i più significativi sulla scena musicale e discografica: sul fronte classico Claudio Abbado è stato premiato ben 13 volte, Riccardo Muti 8 volte, Maurizio Pollini 5 volte; sul versante pop/rock il primato va a Franco Battiato (5 premi nell’arco delle 24 edizioni), seguito da Bob Dylan (4 premi), quindi – con 3 premi – Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Ivano Fossati e Bruce Springsteen; nell’area jazz 3 vittorie ciascuna hanno ottenuto Franco D’Andrea, Miles Davis e Keith Jarrett. Il Premio di M&D è anche valso a segnalare l’attenzione del pubblico e degli operatori parecchi artisti al loro debutto discografico, che nel corso degli anni successivi si sono trasformati in protagonisti: basti citare – fra i tanti – i casi di Daniele Silvestri (nel 1994), Alanis Morissette (1995), Carmen Consoli ( 1996), Cristina Donà (1997) Alex Britti (1998), Coldplay (2000), Pacifico (2001) e numerosi altri, che il referendum ha permesso di scoprire o valorizzare nei giusti meriti.
Queste le classifiche dell'edizione 2003.
POP & ROCK
ITALIANI
1. CANZONI DELL’APPARTAMENTO Morgan (Columbia)
2. CARAMELLA SMOG Samuele Bersani (Ariola)
3. DOVE SEI TU Cristina Donà (Mescal)
4. DOMANI Mauro Pagani (NuN)
5. LAMPO VIAGGIATORE Ivano Fossati (Columbia)
STRANIERI
1. DIAMONDS ON THE INSIDE Ben Harper (Virgin)
2. ELEPHANT White Stripes (XL)
3. CUCKOOLAND Robert Wyatt (Rykodisc)
4. HAIL TO THE THIEF Radiohead (Capitol)
5. STREETCORE Joe Strummer (Hellcat)
POP & ROCK OPERA PRIMA
LE VIBRAZIONI Le Vibrazioni (Ricordi)
DANCE
ITALIANI
1.SATISFACTION Benny Benassi (Energy)
2. VOGLIO VEDERTI DANZARE Prezioso feat. Marvin (Time)
3. QUELLI CHE NON HANNO ETA’ Eiffel 65 (Bliss Co)
STRANIERI
1. E SAMBA Junior Jack (Pias)
2. MUNDIAN TO BACK ME Punjabi MC (Time /Motivo)
3. GET BUSY Sean Paul (Atlantic)[/SPOILER]
DELROCK
Morgan
Casa discografica: Columbia
Anno: 2003
«Doveva essere un disco di cover ma poi sono usciti Battiato e Robbie Williams con qualcosa del genere. Allora le cover me le sono scritte io». Morgan spiega così il suo nuovo album, il primo senza Bluvertigo, giocando con le parole a ragion veduta. Questa idea delle «auto cover» vuol dire che i brani sono stati concepiti come «altrove nel tempo», volutamente rétro, a indicare una felice regressione forse dovuta ai trent'anni appena compiuti o forse alla recente nascita della figlia. «Sono tornato fino a Tenco, a Bindi, ho scoperto Beach Boys e Scott Walker. Soprattutto, ho rivalutato la forma canzone. Voglio fare qualcosa calato nel mio tempo che però parta da lì». Il titolo va preso alla lettera. Morgan ha affittato una casa a Milano, ci ha messo dentro famiglia e pianoforte e ha cresciuto quest'album nutrendolo «con la vita vissuta, immaginata e anche spiata dalla finestra, con gli oggetti, i dialoghi, i dischi suonati e i libri letti». Due anni dopo ha traslocato: «tutte le tracce indispensabili sono entrate in due belle scatole di cartone foderato di stoffa dipinta a mano, la musica invece in questo cd». Un gran bel gioco, con una leggerezza che i dischi Bluvertigo non avevano ma anche con eleganza, con voglia di ricerca; «non dissolvendo le forme di una volta, semmai assolvendole» da una postazione assolutamente contemporanea, con un attento lavoro di post produzione digitale su una materia fondamentalmente acustica e all'apparenza «classica». Altrove non per nulla è il primo singolo, un bell'uncino che spiega il disco da subito. Ma piacciono anche The Baby (un omaggio alla figlioletta sulle piste di Brian Wilson via XTC), la dichiarazione d'amore di Aria e le due cover «vere» rimaste del progetto originario: Non arrossire di Gaber e una bella traduzione di If, dimenticata filastrocca di quando i Pink Floyd erano ancora giovani e non così dark.
Riccardo Bertoncelli 12.05.2003
ROLLINGSTONE
Morgan, 'Canzoni dell’appartamento'
17 Luglio | Rolling Stone
Sony Music
In poche parole/ - Canzoni d’amore strappalacrime, canzoni paterne per la figlia, canzoni per serate folli, cover di Giorgio Gaber e Pink Floyd riletta in italiano.
Descrivere un disco di Morgan è difficile, è come recensire 40 anni di storia musicale, tante sono le sfaccettature del personaggio e, per la transitività, i suoi lavori. Glam rock e beat, new wave e musica cantautorale, psichedelia e pop music. Lo si evinceva dai suoi lavori con i Bluvertigo, lo si evince ancora di più dal suo primo disco solista dove sembra sfogarsi e liberarsi da tutte le sue difese.
Canzoni d’amore strappalacrime, canzoni paterne per la figlia, canzoni per serate folli, cover di Giorgio Gaber e Pink Floyd riletta in italiano (If…).
La marcia in più del disco probabilmente è l’ausilio di Carlo Carcano come autore degli arrangiamenti degli archi presenti nelle canzoni.
Il primo singolo Altrove è stato nelle prime posizioni di vendita, pur non essendo affatto una canzone dal semplice significato è riuscita a stregare il pubblico: forse questa è la forza di Morgan, parlare come nessun altro fa nelle canzoni e rendere la Cultura alla portata di tutti.
Canzoni dell’appartamento vince nel 2003 il Premio Tenco, il premio della critica più importante in Italia, come miglior opera prima dell’anno.
Katia Marinelli
BIELLE
Stile retrò e forma canzone
di Lucia Carenini
“Zero", l'ultimo CD dei Bluvertigo risale al 1999, con esso si chiudeva la trilogia chimica iniziata con "Acidi e basi" e proseguita con "Metallo non metallo". Dopodiché il nulla, se si esclude la raccolta "Pop Tools" del 2001. Così Morgan dal pizzetto caprino sceglie la strada solista, senza per questo lasciare i Bluvertigo, che peraltro non si sono sciolti, sono "Vivi e vegeti" - conferma il cantante - "solo temporaneamente congelati", impegnati in attività varie ed eventuali.
Nel suo sito – ben fatto e intrigante – Morgan presenta così il suo album Canzoni dell'appartamento: "Prendi un appartamento in affitto, ci metti dentro una famiglia e un pianoforte e scrivi un disco che parla di quello che stai vivendo". Ne esce un lavoro dai toni retrò, che sembra una cover di se stesso, forse perché all'inizio era stato pensato proprio come un disco di cover.
Undici canzoni, decisamente pop, di cui nove originali e due – superstiti del progetto originale - rivisitazioni ben mimetizzate: "Non Arrossire" di Gaber e la traduzione di "If" dei Pink Floyd.
Canzoni surreal-intimiste, a tratti volopindariche. Battiato docet.
L'album ha vinto di larghissima misura la targa Tenco per la miglior opera prima. Ora, a parte l'annoso problema di quanto sia giusto considerar opera prima il lavoro di chi di dischi ne ha già pubblicati almeno tre, (e nemmeno come componente di sfondo di una band, ma come leader) ed è un personaggio noto, mentre un premio all'opera prima dovrebbe quantomeno segnalare al pubblico dei veri esordienti – ma questa è un'altra storia – resta da chiedersi se Marco "Morgan" Castoldi questo riconoscimento lo meritasse davvero.
Niente da dire su suoni e arrangiamenti: una parte è stata registrata nell'appartamento, un'altra con l'Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Foggia. Poi Morgan ha messo tutto dentro un computer e ha accuratamente rimaneggiato, scomposto e ricomposto per raggiungere la perfezione stilistica.
Ne è uscito un prodotto raffinatissimo e curato fino ai minimi particolari, in un miscuglio di revival anni 60, new wave, elettronica inglese anni 70, suoni retrò, qualche traccia di cantautorato italiano e parti orchestrali. Più qualche soluzione stilistica che sembra pensata per Mina.
Inoltre l'album sembra fatto apposta per l'etere; il singolo apripista, "Altrove" (e qui spezzo una lancia a favore di Morgan, che ha capito che il brano trainante va messo all'inizio di un album, non alla fine) è un brano a tinte soft, che ben introduce il concetto del lavoro.
E il disco è bello. Canzonette in superficie leggere e orecchiabili, ma sotto, per chi sta attento subito, altrimenti un po' alla volta, si percepiscono tecnica ed elaborazione. L'appartamento appartiene al nuovo filione elettro-italo-retrò, quello di cui fanno parte anche i Baustelle.
Si legge ancora sul sito di Morgan: "Queste undici canzoni retrò nascono fuori moda nel mondo contemporaneo, in una casa non d'epoca ma abbastanza vecchia... rivivono il momento in cui fui io bambino nell'appartamento di un tempo". Sicuramente c'è un sound da "canzone italiana" e si percepisce il suono degli spartiti da piano bar, forse quegli stessi spartiti del pub di Varese dove Marco suonava a 14 anni.
Il funambolico Morgan ha fatto tutto: ha composto musiche e testi, curato parte degli arrangiamenti, e co-prodotto il lavoro. Ne è uscito un bel disco, insomma, che ha anche una copertina raffinata, di architettura razionalista.
Ma possiamo chiamarlo esordiente? Il dubbio (maligno) che si insinua è che visto che ascoltar dischi di ignoti o quasi costa tempo e fatica e, visto che non tutti sono prodotti da grandi firme, si rischia anche di cozzar contro suoni scricchiolanti o arrangiamenti difficoltosi, qualcuno (molti?) abbia pensato: Morgan? Un nome una garanzia. E zac, votato.
ROCKOL
Dice che è diventato grande. Messo da parte un po’ d’ironia. Disilluso (?), è anche più concreto. Molto è successo grazie (a causa di) due donne. Una, Asia (lui che è poeta la chiama Aria) gli ha aperto una ferita nel cuore. L’altra, Anna-Lou Maria Rio (il nome ricorda il titolo di un album. Pazienza) è la sua piccola figlia, che gli ha regalato “un’esperienza naturale ma anche straordinaria”. Sarà vero.
Di sicuro si capisce che Morgan-alias-Marco è un uomo che ama.
Si capisce dai testi, certo (banale): ma anche dal modo in cui respira la musica. Che è poi una musica bizzarra, classicheggiante, nata e cresciuta in un appartamento, proprio come facevano i bimbi una volta. E Morgan-alias-La-levatrice se l’è coccolata per due anni, prima di concederle il permesso di uscire. “Ho fatto tutto da solo, al computer. Poi ho chiesto all’Orchestra di Foggia di risuonarmi le parti sinfoniche”, spiega. Semplice.
All’inizio dovevano essere tutte cover, però poi no, “Ho pensato che la critica avrebbe pensato che non ero in grado di scrivere canzoni originali, e poi che mi avrebbe paragonato a Battiato: lo amo ma non sono uguale a lui”, ha confessato Morgan-alias-Il-dietrologo. Qualcosa del progetto iniziale, a dire il vero, è rimasto: “Non arrossire” era un pezzo di Gaber, “Se/If” roba che arriva dritta dritta da Roger Waters, e poi chissà, altre cover verranno (forse) con il prossimo disco.
Le nove canzoni scritte da Morgan comunque sono una delle cose migliori che abbiamo visto (sentito) in Italia da parecchio tempo a questa parte. Merito dell’appartamento milanese in cui sono state composte, e che l’autore ha adorato? Morgan-alias-Il-casalingo giura che tutto ha influito su questi pezzi; persino i muri, i tendaggi, la televisione che blaterava le solite sciocchezze. Non ambient music ma “musica ambientata”, “Canzoni dell’appartamento” è un contenitore coraggioso, che non ha paura (o forse ha proprio voglia) di sporcarsi le mani: roba nata per voce e pc, o voce e pianoforte e poco altro, che tiene a mente la tradizione e di lì si muove per andare altrove, oltre; musica di cui in fondo si può dire poco e niente, perché sfugge e cambia a seconda del modo in cui l’ascolti; a seconda del volume, ma anche dello stato d’animo e del tempo metereologico e di quanto vale lo stereo che ti hanno regalato gli amici (facendo colletta) quando ti sei laureato.
Morgan non è Pavarotti, e lo sa bene. Allora punta su qualcos’altro: sulla metrica e sulle parole che si sforzano sempre di sorprendere, sul ritmo, che a volte assomiglia a quello della forma-canzone più pura (“Non arrossire”), a volte si avvicina al poema sinfonico (“Altrove”); che a tratti lascia spazio al “vecchio” blues e lo reinventa (“The baby”), a tratti ripiega su un rock che avevamo dimenticato, e gli restituisce vita e dignità (“Se/if” ma anche “Heaven in my cocktail”). Non esagera, non vuole strafare, gioca con le parole e sceglie un numero ridotto di canzoni (undici) perché evidentemente sono quelle di cui è davvero convinto. Se ne frega di essere alla moda e infila tra gli altri un pezzo che si intitola “Canzone per Natale” (non male per un disco che esce a maggio), non rinuncia – per fortuna - alla sua antica presunzione paragonandosi a Bach (“come lui faccio roba che suona semplice. Ma il percorso per arrivarci è stato molto complesso"). Dedica un pezzo alla figlia, uno ad Asia/Aria. Ci mette amore.
È un consiglio che non diamo mai. Ma questo disco, fate il piacere, compratelo. Su.
Paola Maraone 20.05.2003
NEWSIC
MORGAN CANZONI DELL’APPARTAMENTO
Voto: 8
Casa Discografica: Columbia/Sony
“Canzoni dell’appartamento” rappresenta il debutto solista di Morgan cantante dei Bluvertigo. Un lavoro autobiografico, messo insieme durante un periodo ben preciso della vita dell’artista, dalla primavera 2001 al marzo 2003 in un appartamento della zona di città studi a Milano: “ metti dentro una famiglia (Asia Argento sua compagna e la figlia Anna-Lou)e un pianoforte e scrivi un disco che parla di quello che stai vivendo, vengono fuori alcune canzoni ‘ambientate’ in un luogo di vita e di lavoro”, ha detto Morgan descrivendo il progetto. Un disco di ‘musica organica’, dove l’ambiente ha influenzato la musica.
Il sound che si respira in queste canzoni ha una parvenza restrò , come se questi brani fossero stati registrati negli anni ’60. Un disco di Morgan, o forse è meglio dire di Marco Castoldi (vero nome dell’artista), che ha voluto raccontare in queste tracce le sue esperienze personali , la nascita di una figlia, una storia d’amore… In antitesi con i dischi dei Bluvertigo, questo set solista di Morgan ha ricercato nei generi tradizionali, , quindi non più attuando una demolizione della forma musicale, semmai un’assoluzione della tradizione. Ed eccoci alla musica. Solo il brano che apre il disco e primo singolo, merita parole di elogio . Costruita su un giro di basso “Altrove” ha la capacità di affascinare, richiamare l’attenzione dell’ascoltare e rimanere impressa nella mente. Subito dopo una della chicche del disco; una vera e propria serenata dedicata da un padre alla propria figlia “The Baby”: dolcezza, tenerezza e fragilità , sono gli elementi che caratterizzano questa ballata. Morgan ha voluto incidere anche la psichedelica “Aria” rivolta alla sua ex compagna Asia Argento.
IL disco contiene anche due cover; la bella interpretazione di “Non Arrossire” di Giorgio Gaber e la traduzione di “If” “Se” di Roger Water. Il CD ha altri momenti molto interessanti , il western all’italiana di “Italian Violence”, o un brano dalla forma più tradizionale come “Le Ragioni delle piogge”. La chiusura e affidata al lento “Canzone Per Natale”. Morgan si conferma uno dei personaggi di punta del panorama rock milanese, autore, poeta, un’artista della scena giovanile contemporanea. Con “Canzoni dell’appartamento” ha voluto mostrare un Marco più maturo e adulto musicalmente.. che ha scritto i testi e le musiche (tranne le cover) , ed in parte ha anche provveduto agli arrangiamenti. Un disco per imprimere in maniera indelebile un paragrafo molto importante della sua vita, ma allo stesso tempo per esorcizzare le sofferenze, gli aspetti negativi e…girare pagina
Carlo Cassani 12.05.2003
STORIADELLAMUSICA
Morgan
Canzoni Dell’Appartamento
di Alessandro Grassi
Somme di quattro pareti, vedute quadrangolari, curiosità che emergono silenti aldilà di una coltre di certezze, spiare per vedere la vita e poi ritornare a riflettere sulla propria, rifugiarsi nella propria arte fatta di paura ed urgenza di comunicazione (innanzitutto verso se stessi, o perlomeno con la propria parte più recondita) e vedere l’evoluzione dell’ego pensiero momentaneo che prende forma, osservare l’iter della creazione che prende consistenza e si concede al vivere.
“L’appartamento come sintesi”, forza e ritrovo dell’accumularsi di svariati pieni e vuoti, recipiente necessario e vivo per materializzare quello che si è, che si è stati, e per illudersi su quello che si sarà, col tempo e nel tempo… Quattro anni fa usciva “Zero”, la magnifica chiusura della trilogia chimica dei Bluvertigo, poi una lunga stasi, che è coincisa con il portare avanti i progetti dei singoli: Andy alla pittura e quant’altro e Morgan alla scrittura, alla vita privata e alla progenie. In mezzo a tutto questo, forse, un desiderio di procreare un qualcosa di completamente personale, al di fuori delle interrelazioni e delle conseguenze più o meno piacevoli di queste.
E nell’arco di due anni (periodo di vita e condivisione con/nell’appartamento) è sbocciata e si è alienata dall’idea per divenire reale, questa raccolta di canzoni, pensata, forgiata e scaturita dall’insieme di elementi che hanno caratterizzato il viversi in questo “contenitore”. Canzoni dell’appartamento, quindi. Niente da spartire con il proprio passato “illustre” (i Bluvertigo s’intende…), forse qualche brandello di ascolto frequente che si materializza sotto forma di cover o rilettura (si veda “Non Arrossire” e “Se”), ed un mare di atmosfere da descrivere e da sottolineare. Nuove, perlopiù.
Presenze, personaggi, co-protagonisti, e animazione dell’oggettistica, gli argomenti di cui questo disco si nutre e di cui parla, tutti affrontati con la rigorosa intelligenza retorica che già conosciamo in Morgan, ma che risulta addolcita dal freddo razionalismo sentenziante di un tempo e che si rifugia nel ragionamento “dal dentro” l’emozione calda, viva, traspirante e respirante.
E allora il tutto diventa, un lento serpeggiare in mezzo a sensazioni leggiadre e tangibili, pregne di sostanza e di ricordi attaccati a quelle musiche tanto soavi quanto piene di archi, piani e flessuosi bassi. Un inaspettato salto dentro una certa canzone all’Italiana di derivazione anni ‘50/’60, che mantiene il fascino dell’esposizione sonora, arricchendola di quiete (o dubbiosità) comunicante.
“Aria”, sottintende l’amore vissuto e vivente, rosso e multiforme, dove il piano diventa organo lieve di un sussurrare di parole lineari e limpide, sincere. “Crash”, si vede investita di una costanza da “dichiarazione di intenti”, mosse effettuate ed il presente fatto di coerenza, un candido fluttuare di grooves delicati. “Altrove” (primo singolo estratto), gioca la carta del “lasciarsi trasportare” senza dar peso al dove si andrà, con la presuntuosa pazzia/sicurezza di giovarne quanto basta.
“The Baby”, una dedica, un’immedesimarsi, un ritornare e capire meglio quello che si è stati da birbanti bambini, tutto vissuto in chiave Beatlesiana (o meglio assonante con Paul McCartney). “(Evaporazione)”, coda strumentale del motivo principale di “Aria”, che conduce al primo stacco stilistico vero e proprio, quella “Non Arrossire” di Gaber-iana memoria, qui rinvigorita in maniera sognante, barocca, quasi con la supervisione onirica di Mina…
Si prosegue con “Me” (uno degli apici del disco), dove il protagonista rimane il pianoforte e l’intelligente verve esponente. “Se (If)” è l’adattamento di un vecchio brano dei Pink Floyd, che nelle mani di Morgan diventa una concessione alla libertà di azione (buona ma nulla di che). “Italian Violence”, si presenta come un ibrido di cantato in Italiano ed Inglese, dove si espongono i cari vecchi odiati/amati stereotipi Italiani, mischiandoli con le proprie attitudini quotidiane, un brano buono dove ai toni lenti si miscela un ottimo arrangiamento d’archi ed il solito piano descrivente. La seconda sorpresa, quasi fuori contesto, viene concessa dalla sferzata energica e ritmica di “Heaven In My Cocktail”, dove la “velata” spensieratezza si dipana su un mantello di disco-funk tipicamente anni ’70; più che un tributo, un’intransigente e divertente episodio (magari una futura via per accedere al Bluvertigo creare?). Chiudono questo viaggio nella fotografia del contesto emozionale-razionale dell’appartamento, “Le Ragioni Delle Piogge” e “Canzone Per Natale”; la prima, delicata e riflettente, una perla di un dispiegarsi di ricordi e cumuli di pensieri, la seconda, un tenero elogio al Natale (terzo episodio completamente fuori dal tempo…).
Di per se, questo album è quanto di più fresco ed originale potesse capitare al panorama pop Italiano, gioca in terreni che fanno parte della cultura della nostra canzone nazionalpopolare ma che vengono rivisitati con una lucidità alchemica degna di un innovatore/cospiratore. Quindi un disco che sicuramente si lascia apprezzare nella sua quasi totalità, riuscendo a convincere per contenuti e corsi sonori intrapresi. Dall’altra parte va evidenziato che la ricerca melodica effettuata paga dazio (in qualche episodio) al passato più di quanto sia necessario, ma senza per questo che ne venga intaccata l’ottima qualità. …E non è neanche da escludere che fosse una componente prevista e anticipata da Morgan stesso…
Insomma non un tributo generico all’Italianità, più che altro un rincorrere il modo di esporre un decorso di emozioni vissute, in maniera diretta e senza costrizioni di forma o sostanza. Pillole di vita a narrarsi
SENTIREASCOLTARE
Non ho mai avuto voglia di conoscere fino in fondo l’opera dei Bluvertigo, sembrandomi più posa che sostanza quel rimestare scellerato geometrie electropop di sfacciata matrice eighties. D’altro canto il Morgan-pensiero, così pervaso di scomodità intellettuali e nonsense puzzalnaso organizzati attorno ad un acume tanto angoloso quanto esibizionista, mi ha sempre infastidito ed attratto in egual misura. In altre parole, quest’uomo ha tutte le carte in regola per starmi sulle palle, però - com'è come non è - un po’ mi piace. Lo stesso posso dire di questo disco, debutto in solitario per Marco “Morgan” Castoldi, capace di strapparmi simpatia malgrado trasudi dandismo d’accatto e una strisciante civetteria da "inconsueto ad oltranza", puntando stavolta l'obiettivo - messa da parte la venerazione per i maestri del synth pop (che, a parte una citazione dei Japan in Heaven In My Cocktail, traspare comunque in una certa algidità vocale) - sul cantautorato italiano dei sessanta stemperato con sapori soul e prog (!).
Pur sfiorando spesso l'artificiosità, mi è impossibile ignorare la spudorata tenerezza, l’asprigno spleen, la grana acerba di certe interpretazioni, tanto che alla fine sono proprio questi squarci d’intimo palpitante, d’anima ferita sull’orlo di un esistere insoddisfacente, a parlarmi col cuore vivo, ad imprimersi di più, malgrado la giocosità labirintica (certe complicazioni strutturali, l’eccessivo indulgere su espedienti testuali e d’arrangiamento) con cui l’autore si diverte a rivestirlo. Certo, non tutte le undici tracce in programma convincono, qualcosa oltrepassa la misura per eccessivo amore d’alambicco (la mini suite pop-prog di Me, come un sogno Bacharach/Beach Boys in mano ai King Crimson di Island) o fidando troppo in un’impertinenza a vuoto (The Baby). Tuttavia la sgraziata trepidazione di momenti come Aria (ballata psych-soul rivolta al Bowie fantascientifico in cui basta sostituire una consonante - la R con una S - per innescare crudi patemi autobiografici: giochino fin troppo scoperto e civettuolo, ma intrigante lo stesso, con quella voce che nel chorus s’invola alla Costello) o Altrove (pop soul accomodante benché iperstrutturato, capace di far convivere gli ectoplasmi di Stand By Me e Be My Baby con orchestrazioni marpione alla Renato Zero e una certa solennità Franco Battiato) denunciano un’impellenza emotiva poco comune, l’esito esplosivo della melodia storta, il gusto per gli arredi sonici ricercati e decadenti, desueti ed evocativi come cieli in una stanza di bordelli abbandonati, frullati da una voglia irrefrenabile di post-modernità.
A tratti curioso (il reggae trasfigurato di Crash, la fin troppo riverente traduzione della watersiana If), talora pedante (la rilettura filamentosa di Non Arrossir, la pastorale epica di Italian Violence, il madreperlaceo malanimo di Canzone Per Natale), il buon Morgan decide di regalarci nel sottofinale una ottima Le Ragioni Delle Piogge, solenne ballata che scava nel cupo come un Tenco arrangiato da Peter Gabrieled un pensierino al De André della buona novella nell’incedere narrativo dei versi. Per quanto mi riguarda, lo considero disco riuscito per una buona metà. Non che mister Castoldi possa essere tecnicamente definito una “promessa”, ma insistendo su questa falsariga potrebbe col tempo ben ritagliarsi un suo peculiare angolino nel sempre meno asfittico panorama italico, e da lì concederci qualche altro momento di malsana evasione.
(6.5/10)
Stefano Solventi
MESCALINA
MORGAN
Canzoni dell’appartamento
MESCAL / SONY 2003
Articolo di: Christian Verzeletti
Del 12/01/2004
Morgan è un fingitore, un Narciso che si bea della propria immagine riflessa.
Eppure è un’artista vero, non c’è dubbio. Solo ama giocare dall’interno del sistema, usandone e abusandone in modo volutamente ambiguo: i suoi atteggiamenti egocentrici destano poco simpatia, ma, oltre che a gratificare il suo ego, servono a nascondere virtù che richiederebbero troppa serietà.
Per anni Morgan ha cammuffato la sua musica con i lustrini e i trucchi dei Bluvertigo ed, anche ora che ha indossato le vesti della canzone d’autore, rimane il dubbio che continui a fingere, a nascondersi dietro un’immagine riflessa.
In effetti “Canzoni dell’appartamento” non è l’annunciata raccolta di covers né quell’album intimo e privato, nato e costruito in un loft dove l’autore si era rinchiuso con le sue canzoni e la sua compagna. Non lo è nel senso che non è un disco in cui Morgan si confessa o si spoglia: piuttosto è un cambio d’abito che mette meno in evidenza pose e suoni glam.
“Canzoni dell’appartamento” è stato di fatto concepito in una realtà domestica e poi sviluppato, aperto in studio: dalla finestra d’una camera ci si affaccia sulla piatta monotonia d’un panorama urbano e si alza lo sguardo. Alle schiere di condominii sostituite idealmente il mondo della musica attuale e ne potrete dedurre l’approccio di un’artista che vuole vedere riconosciuto il suo tentativo ambizioso di distinguersi.
Così tutto l’album ha un substrato d’archi orchestrale, come richiede buona parte della canzone italiana da Sanremo a Battiato, ma questo è collocato in un contesto suonato e stratificato. La voce segue le vie della melodia e del bel canto, senza dileguarsi in scioltezze sentimentali, anzi, anche quando il tono è quello di un crooner romantico, Morgan non perde occasione per dichiarare tra le righe la sua estetica.
Lo stesso ruolo hanno le due cover: “Non arrossire” (Gaber-Mogol) rimanda alla stagione più limpida della canzone italiana, mentre la versione di “If” (Roger Waters) è una dichiarazione d’amore sottile per gli anni ’70.
Limitativo definire questo disco come pop e ingiusto classificarlo come canzone d’autore, nonostante la recente targa del Premio Tenco: alla sua immagine Morgan aggiunge riflessi di Battiato, di David Bowie, di Peter Gabriel, dei Beatles, del miglior progressive e pure certe eleganze da musica da camera.
Anche il singolo “Altrove” è un suggello alla canzone italiana, che nasconde più di un particolare. Tutti i brani sono investiti di un lavorio strumentale fine ed arguto, che, oltre agli archi, si compone di loops, wurlitzer, theremin, mellotron, vocoder, fiati, noise, tamburi ad acqua ecc.: Morgan costruisce pezzi di grande musica con la stessa scioltezza con cui canticchia il na-na-na di un ritornello pop o con cui commuove ammiccando al pianoforte.
Oltre le linee dei condominii milanesi e dietro il riflesso del proprio volto alla finestra, Narciso scorge il cielo: bisogna solo alzare lo sguardo inseme a lui




THE BOOK OF SATURDAY
Morgan – Canzoni dell’Appartamento (2003)
Si può fare pop e ricordarsi del rock, tracciarlo, considerare che in fin dei conti molto nasce da lì. Quindi con riconoscenza, abbozzare angoli di buona musica e nel riquadro collocarsi allo specchio e compiacersi per un’opera prima, questa del Morgan solista, che in fin dei conti – tra piccole cadute e recuperi improvvisi – tutto sommato non lascia l’amaro in bocca alla fine dell’ascolto. Dentro Canzoni dell’Appartamentoc’è di tutto, dall’enorme distanza che separa la critica tra detrattori ed estimatori, ai Bluvertigo (apprezziamo la non negazione del passato), la tradizione cantautoriale italiana rielaborata in chiave semi-rock, a tratti il tripudio degli archi che suonano barocchi ma mai ridondanti, e pillole di sapienza musicale che fanno di Morgan (come scritto anche da Foxtrot), uno dei più grandi rimpianti che la musica italiana abbia prodotto nelle ultime decadi.
Per l’appunto, un prodotto, quello che Morgan è diventato con il tempo, ma questo è un altro discorso. Canzoni dell’Appartamento va ascoltato, riascoltato, con stati d’animo diversi, anche se racchiude un senso di malinconia nonostante il ritmo spesso veloce e incalzante. Notevoli sono Altrove, Crash (Storia di un Inventore), Aria, Non Arrossire (cover dell’omonima di Gaber) e Se (if) – cover della più celebre If dei Pink Floyd contenuta in Atom Heart Mother.
Testi minimal, emozionali, istintivi e talvolta sconnessi ne fanno un campione di nonsense misto a ricercata leggerezza. Ma c’è anche l’occhio lungo sul marketing e se vogliamo, la scelta di una Canzone per Natale, in un album uscito a maggio, fa di Canzoni dell’appartamento un disco-panettone, anticipato…
ROLLING STONE
Rubrica "Review -Lo straniero" (Joe Levy, vicedirettore di Rolling Stone USA, recensisce in ogni numero 3 album italiani)

LA SCENA - MUSICA VISIBILE
di Caterina Nirta
Avevamo già avuto modo di apprezzare il singolo d’anticipazione prevedendo anche qualche sorpresa che, immancabilmente, è arrivata con l’album. Un album con un deciso tocco retrò e una serie di dolci atmosfere dilatate ed inaspettate che lo rendono, in questo preciso momento, un disco insolito e sorprendente. Un Morgan cresciuto e maturo che nel suo appartamento ha sviluppato le 12 tracce del disco le quali, pur contenendo gli elementi più complessi e gli spunti più vari, percorrono il medesimo percorso condividendo una base comune: quella di un uomo consapevole, che decide di fermarsi e fare il punto della situazione e tirare le somme della sua vita in modo silenzioso e riflessivo, promuovendo ambienti casalinghi, privati e quanto mai intimi. Siamo infatti davanti ad un album estremamente organico che riflette profondamente l‘ambiente circostante (persino l‘intermittenza di un cellulare durante la traccia numero tre) e che si alimenta della semplicità della quotidianità per scavarsi dentro e darsi una ragione; una sorta di esorcismo di paure e debolezze. Q
uanti si aspettavano un lavoro alla Bluvertigo rimarranno delusi e/o sorpresi trovandosi di fronte a delle canzoni di matrice assolutamente differente che con l‘elettronica e gli esperimenti musicali d’avant guard non hanno nulla a che vedere. L‘intero album è stato scritto infatti al pianoforte e arrangiato da un‘orchestra, la “Suono Sud” di Foggia. Non un caso, ma una vera e propria volontà da parte di Morgan di tornare a sperimentare il metodo classico e tradizionale.
The Baby, pezzo che forse meglio di altri riesce a far carpire il cambiamento musicale , stilistico ed interpretativo di Morgan, è una simpatica ballata, scritta con gli occhi di un baby per l’appunto. Un pò folle e surreale probabilmente, ma sicuramente efficace e tenera quanto basta per far sì che l’ascoltatore ci si affezioni subito. Aria è invece un’accorata canzone d’amore caratterizzata da una semplicità testuale fuori dal comune.
Canzoni come Crash e Me, mostrano una profonda vena ironica e fanno trapelare una certa paura e insofferenza da parte dell’autore nel confronto personale con la vita. I testi del disco possono sembrare a tratti eccessivamente semplicistici, ma un ascolto leggermente più approfondito li rivelerà estremamente profondi e riflessivi, come profondo e riflessivo è il viaggio che Morgan decide di fare dentro se stesso attraverso questo album.
“Canzoni dell’appartamento” contiene anche due cover: una splendida interpretazione di Non arrossire (contenuta anche nel singolo, “Altrove”) di Giorgio Gaber e la traduzione di If di Roger Water. Le ragioni delle piogge è forse il brano più toccante e geniale; Morgan si analizza attraverso flash ed associazioni mentali (incoscie?), invoca spiegazioni e si circonda di confusione e smarrimento, arrivando alla conclusione che bisogna essere profondamente convinti che il mondo è orripilante per essere felici. Un brano capace di trasmettere all’ascoltatore sensazioni malinconicamente eleganti e un certo senso di intimo pessimismo che pretende risposte.
La chiusura è affidata a Canzone per Natale, un’esaltante pezzo in bilico tra ambienti pop e sinfonici, dolcemente nostalgica e “misurata” all’inizio, ma che poi sfocia in un crescendo di tensione e coinvolgimento. Un disco, questo, che oltre a sorprenderci per le insolite scelte musicali del nostro Morgan, apre gli occhi a tutti coloro che ancora nutrivano riserve sulle capacità compositive di questo giovane artista. Un disco che ci regala 12 eleganti e raffinate chansons di eccellente livello (e se ci fosse un aggettivo superiore ad eccellente, sarebbe quello) e mostra un Morgan geniale, poeta e musicista come non l’avevamo mai visto prima.
SCANNER.IT
Morgan
Canzoni dell'appartamento
Torna l'eroe romantico
[Sony] 2003
di Valerio Fumasi
Morgan sceglie la strada solista, ma non lascia i Bluvertigo. Il silenzio discografico dei Bluvertigo è diventato imbarazzante. Null'altro dopo la pubblicazione della raccolta "Pop Tools" datata 2001 a sostegno della partecipazione dei nostri al Festival di Sanremo.
"Zero", l'ultimo CD in studio risale al 1999, con esso si chiudeva la tetralogia degli elementi iniziata con "Acidi e basi"e proseguita con "Metallo non metallo"(album che li stigmatizzando a pieno merito nell'olimpo dei grandi).
La band ci assicura che non si è sciolta, è semplicemente in stand by, prossimo anno prossimo album. Andy (synth & samples) si divide tra pittura, moda (disegnando per Coveri degli abiti fenomenali) e l'attività di Dj in giro per gli alternative club di mezza Italia, Morgan intanto si riscopre autore maggiormente intimista rispetto a quello a cui ci ha abituato con la sua band madre (o forse dovremmo dire figlia…) nel suo primo album solista, "Le canzoni dell'appartamento", pubblicato per la Sony Music Italia il 2 Maggio 2003. Undici pop song, con due rivisitazioni eccellenti: "Non Arrossire" di Gaber e "If" dei Pink Floyd (Atom Heart Mother - Emi, 1970) di Roger Waters. Gusto e dolcezza, ma anche una scommessa davvero intelligente per un Morgan ritrovato, a tratti sorprendente.
Il singolo apripista, "Altrove" è un brano dalle tinte più soft e meno contaminate dall'elettronica "Eniana" che ha sempre caratterizzato i lavori del combo Monzese ed è stato interamente scritto e arrangiato dallo stesso Morgan avvalendosi del produttore Roberto Colombo e dell'apporto di un'intera orchestra. L'album e l'Ep sono due prodotti che sembrano fatti apposta per l'etere, una fresca boccata d'aria novella che squarcerà lo stantio panorama musicale odierno dominato dal "ex-Aphex Twin dell'Hip Hop" Busta Rhimes, che ora gioca a fare Jay-Z con al fianco una spenta Maryah Chery altrettanto impegnata a fare il verso a Gwen Stefani… Ora non possiamo che attendere fiduciosi il ritorno "dell'eroe romantico" anche dal vivo.
RANDOMZOONE
Morgan
Canzoni dell'appartamento
2003
Cosa fa un artista raggiunto il successo? si gode la vita tra belle donne, viaggi, ospitate autocompiacenti; oppure si chiude in un anonimo appartamento milanese con un piano e un computer e fa perdere le proprie tracce. Inaspettatamente riemerge con il parto del suo "eremitaggio" e ci dischiude all'udito un capolavoro di quelli che di colpo ti fanno dimenticare 10 anni di Sanremi e campioni d'incassi. I riferimenti musicali si sono spostati indietro, scivolando dagli anni 80 ai 70/60/50.E solo un grande artista può permettersi di "giocare" con il passato facendo diventare attuali suoni di 50 anni fa, freschi ed immediati come se nascessero dall'oggi, ma senza nulla concedere al trend ed all'attualizzazione forzata. Il gusto retro segna la distanza che la classe pone tra sè e la banalità Corrente. Per quanto la differenza con i Bluvertigo sia indiscutibile, resta forte l'unità stilistica con il passato (vedi una canzone come "la comprensione" in Zero), a ulteriore riprova che non sono le influenze musicali a guidare il musicista, ma è sempre questi che proietta se stesso su ogni musica di cui si appropria, amandola. Gli spunti e i prestiti sono tali e tanti da renderne oziosa l'elencazione. Ma potrebbero, del resto, rendere giustizia della cultura musicale dell'autore e della sua capacità di trasformarla? Potrebbe essere utile sapere che l'autore ha composto e suonato tutti gli strumenti con un programmino di preproduzione chiamato Reason (a questo ptoposito, ascoltare la traccia 9 del CD singolo "The Baby"), per poi comporre tutta l'orchestrazione. Ma potrebbe aggiungere qualcosa all'apparente facilità con cui le canzoni si porgono a noi? ( Un filosofo dell'800 diceva che questa è una caratteristica irrinunciabile del piacere estetico, ponendosi come potenziale causa di ulcera per T.W Adorno, ma questo è un suo problema. Di Adorno) Non essendo noi critici professionisti, ci prendiamo il lusso di non nascondere la testa sotto la sabbia di fronte a qualcosa che travalica le nostre possibilità analitiche ed esplicative e che mette in ridicolo gran parte dei Mammasantissima in testa alle classifiche di vendita. Possiamo, noi, limitarci a consigliare, di cuore, a chiunque un disco che si fa godere con generosità, senza richiedere, per questo, lo spegnimento del cervello.
-FR- + David (Madreluna)
BIELLE
Musica senza film, ma le immagini fanno musica?
di Giorgio Maimone
Capovolgiamo l'ordine dei fattori e vediamo se il prodotto torna. I fattori normalmente, oltre che in fattoria, stanno in quest'ordine. C'è un film, qualcuno scrive le musiche sulla base delle immagini. Secondo possibile ordine di fattori: qualcuno scrive le musiche per un film e le immagini seguono la traccia. Terzo ordine: si piglia una musica preesistente e ci si accordano le immagini. Ma qui si è scelta una quarta strada: si sono prese le immagini e se ne è fatta musica. A macchina. Corrispondenza 1 a 1. Tecnologico fino allo stremo. Meno male che lo si è fatto solo 4 volte e solo per 5'23" in totale. Altri 4'50" sono spesi in monologhi tratti dal film "Il siero della verità" di Alex Infascelli. Gli ultimi 5'06" sono una (bella) canzone. Resta una mezzora di colonna sonora vera e propria, anzi di "commento di un film a due zone. Musiche per orchestra sintetica, piano elettrico e voce.
Chi è l'autore di tanto astruso godimento? Marco Castoldi, detto Morgan. Che però, e qui bisogna dirlo, fa proprio un bel lavoro. Un lavoro a cui, tra l'altro ha creduto, ci ha lavorato a lungo ed ha pure dovuto insistere per essere certo di vederlo uscire su disco. Inizialmente infatti doveva restare solo colonna sonora, ma proprio su insistenza dello stesso Morgan (e probabilmente grazie anche al buon successo di "Canzoni dell'appartamento") ha potuto vedere la luce.
E meno male. Non solo per la canzone finale "Una storia di amore e vanità", ma anche per la tecnica dei "droni" che abbiamo indicato all'inizio (la rielaborazione software delle immagini e la loro transcodifica in musica) e pure per gli inserti parlati che danno l'idea, intrecciandosi con la colonna sonora e con gli opportuni titoli, di quale possa essere lo svolgimento del film (che non ho visto, ma so trattarsi di un film sul mondo della televisione). Un altro tipodi fruizione quindi.
I punti di riferimento, secondo Morgan sono stati vari:"I film di Dario Argento (il suocero - NdR) e "Profondo Rosso" in particolare. Alex Infascelli mi ha indirizzato musicalmente al noir anni ’80. Il regista di riferimento può essere quindi John Carpenter: sintetizzatori, effettistica, sound designing.Brian Eno è una luce per chiunque si interessi alla musica tra organicità ed elettronica, ed è l’inventore della musica ambient: imprescindibile. Altri musicisti che hanno trovato d’accordo Infascelli e me sono John Brian, che ha creato le musiche di Magnolia e Danny Elfman, nel suo lavoro per Il Pianeta delle Scimmie". (intervista con Morgan su GQ.com).
Non contento della sola prima prova Morgan sta però lavorando a una nuova colonna sonora per il film di Asia Argento tratto dal libro di JT Leroy, "Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa", prima di riprendere in mano il discorso con i Blu Vertigo. Anche se devo dire che delle tre anime di Morgan proprio questa, riflessiva, introversa, un po' sommessa della colonna sonora è quella che mi si avvicina di più.
ROCKIT
Il suono della vanità
Mescal / Columbia Music / Sony BMG (2004)
di Domenico Mungo 22.05.2004
La cinematografia italiana contemporanea pare essersi resa edotta della capacità compositiva della nouvelle vogue musicale alternativa a tal punto che negli ultimi tempi la sinergia fra il cinema giovane e la musica indipendente è divenuta una consuetudine che ci sentiamo di appoggiare convinti. A ruota abbiamo visto uscire per i tipi della Mescal la colonna sonora dell'ultimo lavoro del maradoniano Marco Ponti per "A+R", commediola brillante per spiriti positivi e innamorati, dove Motel Connection e una rassegna della scena torinese underground compongono un doppio di livello testimoniale e artistico non indifferente, e ora questo "Suono delle vanità" appaltato all'ex frontman della Vertigine Blu.
Sebbene le vette suggestive di "Tutti giù per terra" di Davide Ferrario con i C.S.I. a farla da padrone siano ben lungi dall'approssimarsi, applaudiamo comunque la scelta di Alex Infascelli di delegare al corsaro Morgan l'ideazione e la composizione del suo ultimo lavoro, quel "Siero delle vanità" che appare come un film a metà fra la spietata critica al presenzialismo vacuamente snuff della televisione italiana e un giallo psycho dai contorni grotteschi ambientato nel sottosuolo dello scintillante vernissage del nulla. E il risultato finale delle musiche sembra scaturire dalla intima frequentazione che il Castoldi ha con la famiglia horror per antonomasia, gli Argento of course, quasi per una perversa osmosi trasversale: musiche per orchestra sintetica, piano elettrico e voce.
Nelle parole del compositore il senso dell'opera, che viene descritta come "la mia prima colonna sonora per lungometraggio. Una soundtrack che ha avuto una gestazione alquanto lunga, cioè dall'aprile 2003 alla primavera del 2004. Ho lavorato come un sarto che modella l'abito sul corpo del cliente, costruendo le musiche sulle suggestioni della sceneggiatura e le indicazioni del regista: due zone diverse da rappresentare musicalmente, un 'sottosuolo' e un 'sopra-suolo'".
Il risultato ottenuto, cioè delle atmosfere assolutamente inquietanti e fortemente sperimentali, appaiono figlie naturali delle tecniche applicate: "Per il sotto mi sono avvalso di un software di composizione grafica del suono, cioè un sistema che traduce le immagini in suoni, e poi ho elaborato e deformato il piano elettrico (scordandolo verso il grave) in modo che producesse una quasi -non- musica che è la sezione chiamata 'drones'. Il sopra è affidato ad una struttura classica, tematica, con l'eccezione che l'orchestra è simulata elettronicamente, dove necessaria." Questo spiega la sinossi della colonna sonora che si interseca alla perfezione con la narrazione per immagini sebbene non ne segua la cronologia in maniera conforme: "Il disco è una sintesi della musica estesa del film e non rispetta la successione delle scene. E' ricreata una struttura narrativa che permette di ascoltarlo - se si crede - tutto d'un fiato. I raccordi tra le scene, il vento, e altri effetti di sound-design sono stati ottenuti suonando dal vivo sintetizzatori monofonici analogici, pratica in voga tra gli anni 50 e 70 ma oramai desueta. In due brani ho riutilizzato frammenti dei dialoghi originali (con le voci di Francesca Neri, Valerio Mastrandrea, Margherita Buy, Barbora Bobulova, Armando De Razza, Marco Giallini, Rosario J. Gnolo), alla maniera del vecchio 'radio-dramma'".
Quindi signori non ci resta che accorrere nelle sale cinematografiche della nostra claudicante penisola e concederci il beneficio di verificare che i musicisti italiani possono competere a tutti i livelli con i talenti d'oltremanica e oltreoceano, anche nell'agone della trasversalità delle Muse.
ROCKOL
Il suono della vanità
recensione di Luigi Carrozzo (Dirondero)
Probabilmente la tracklist di questo disco sarà più lunga della recensione che mi appresto a battere sulla tastiera nicotinica del mio computer. C’est la vie.
Il genietto monzese non smette di tirar fuori dal cilindro i fiori pregiati del suo estro. La colonna sonora Il suono della vanità, scritta per il film di Alex Infascelli Il siero della vanità, è un’altra testimonianza dell’onnivora passione di Morgan per la musica (ché la sua non è mai semplicemente musica, è più un arredo sonoro, buono per l’appartamento, per il cinema e per tanti altri posti). Morgan non riesce a dar pace alla sua creatività così, armatosi di sintetizzatori, pianoforti virtuali e altri ammennicoli del genere, ha dato vita a questa sinfonia elettronica che gli addetti ai lavori apprezzeranno. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un personaggio eclettico come Morgan (dire che lui si diverta a spiazzare il pubblico non rende appieno l’idea; vedi la candidatura – sarà vero? – alle prossime elezioni come esponente del Partito della bellezza), Il suono delle vanità è un opera in punta di piedi, roba da orecchio fino, che forse trova un precursore nell’ambient puro, fra Eno e Sakamoto.
È un disco strumentale, tranne l’ultima traccia Una storia d’amore e di vanità, dove la voce torna protagonista per la struggente rappresentazione sonora del mito di Eco e Narciso.
Per rendere ancora più vivaci le cose, e dribblare una volta di più le facilonerie, una versione speciale del disco sarà in vendita on line sul sito della Mescal; mille copie realizzate in super audio cd tutte autografate dal Baryshnikov del pop italico.
Étoile
ROCKOL
Primo problema: non ho visto "Il siero delle vanità", il film di Alex Infascelli per il quale Morgan ha scritto e prodotto i pezzi raccolti in questo album. Quindi, non ho verificato l'efficacia delle musiche in rapporto alle immagini. Mi rimprovero la mancanza di professionalità, ma trovo una giustificazione nella presentazione dell'album: "Il disco è una sintesi della musica estesa del film e non rispetta la successione delle scene". Bene: il disco è inteso come un lavoro a sé, non sono un pennivendolo poco serio, mi tranquillizzo. Secondo problema: Morgan sostiene di aver costruito il lavoro in "due zone diverse da rappresentare musicalmente, un 'sottosuolo' e un 'sopra-suolo'". Ah, ecco. Se ho ben compreso il resto della spiegazione, il "sottosuolo" si riduce ai quattro brani intitolati "Drone", che sono più o meno esattamente quello che promette il titolo. Il resto sono temi strumentali per piano e orchestra (simulata grazie alla tecnologia). La loro relazione col "sopra-suolo" mi sfugge completamente. Terzo problema: l'ascolto mi fa tornare dritto al punto di partenza. I brani reclamano delle immagini a cui fare da supporto. Si tratta di pezzi in gran parte corti e costruiti con una certa economia di materiale. L'atmosfera dominante è cupa e sinistra, e in effetti il disco funziona bene se ci si mette rilassati e mentalmente si gira un film immaginario. Forse non è un male non essere vincolati al film. “Il suono delle vanità” può aprire a Morgan una possibile strada al di fuori della canzone. Ha le capacità necessarie (come dimostrano ad esempio il “Tema di Lucia” e “Il valzer del camerino”), e l’ambizione non gli è mai mancata. Quanto al Morgan “normale”, qui si accontenta di chiudere l’album con “Una storia d’amore e di vanità”, un buon esempio delle sue capacità di costruire armonie elaborate e per niente scontate. Se siete interessati al protagonista, non è un acquisto inutile, purché non vi aspettiate di comprare un album pop. Chi ha visto il film, potrebbe magari farmi sapere se vale la pena di recuperarlo.
Paolo Giovanazzi
TAXI DRIVER
E' vero che i dischi importanti sono quelli inascoltabili dal grande pubblico?? Senza ombra di dubbio sì. Prendete il primo dei Velvet Underground. Un ascoltatore tipo è già tanto se apprezza "Sunday Morning" figuriamoci il resto.
Morgan ha fatto un disco importante.
Importante per diversi motivi. Il primo: un artista pop che fa un disco interamente strumentale. Il secondo: un artista major che pubblica un disco su indie. Il terzo: la musica.
Musica per orchestra sintetica, piano elettrico e voce. Poca voce. Quella dei dialoghi dei film. Risulta quindi una colonna sonora sperimentale ma altamente cinematografica. Il problema è però uno solo: la fruibilità. I cultori di musiche strane potrebbero trovarlo interessante, i fan di Morgan certamente noioso, quelli dei Bluvertigo non finiranno neanche di sentirlo.
E' come se Morgan si fosse rinchiuso in quell'appartamento in cui ha fatto il primo album e non abbia più intenzione di uscire. Isolarsi dal mondo per guadagnare credibilità con esso.
Un disco importante. Per Morgan e per il coraggio dimostrato dall'etichetta.
Voto relativamente basso per la difficoltà a consigliare l'album a normali fruitori di musica.
Dale P.
MESCALINA.IT
di Domenico Maria Gurgone
22.06.2004
Una bella coppia quella formata da Alex Infascelli e Marco Castoldi, il primo apprezzato giovane regista (“Almost blue”), il secondo chiacchierato artista pop. Alzi la mano chi non ha sentito il nome di Morgan riportato dai media per questioni distanti da quelle strettamente musicali: eppure, il prezzemolino che ha sposato la figlia di Dario Argento e abbracciato politicamente i deliri di Sgarbi, non disprezzando negli anni scorsi neppure la ribalta sanremese coi Bluevertigo, ha firmato un esordio solista (“Le canzoni dell’appartamento”, 2003) che ha convinto pubblico e critica aggiudicandosi il Premio Tenco e risultando persino tra gli artisti italiani più stakanovisti nel rapporto col palco.
Così quando Infascelli gli ha proposto l’opportunità di cimentarsi con la produzione di una colonna sonora per il film “Il siero della vanità” – uscito in Italia lo scorso aprile e che vede tra i protagonisti Valerio Mastrandrea, Margherita Buy e una rediviva Francesca Neri –, il trentaduenne Morgan ci si è buttato a capofitto senza forse nemmeno pensare ad una pubblicazione come quella che abbiamo oggi fra le mani: il risultato è da ascriversi tanto allo stesso Castoldi quanto alla Mescal, che ha iniettato una dose di coraggio nel progetto, cosa che ormai manca costantemente nel DNA di colossi quali la Sony (la casa discografica di Morgan, N.d.R.).
È corretto ritornare alle parole dello stesso Morgan che descrive questo lavoro come una sintesi della musica del film, e non una mera ripetizione delle atmosfere musicali delle singole scene. In breve, il progetto aspira a vivere e muovere i propri passi da sè, fin dall’originale storpiatura del titolo della pellicola, e alcuni buoni motivi potrebbero esserci. Su tutti la perla finale “Una storia d’amore e di vanità”, un inedito che richiama il mito di Eco e Narciso e nel quale Morgan passa dal piano Fender alla celesta in un’atmosfera che sa essere più orchestrale di quanto non lo siano la ventina di altri brani qui compresi.
Il resto del disco si divide fra strumentali attraversati da un piano dal suono virato al grave, intermezzi elaborati al computer – i Drones, da 1 a 4, che sembrano dividere l’album in “atti” – con appositi software per la composizione grafica del suono (programmi che permettono di tradurre in musica, o meglio in suoni, le immagini sottoposte al trattamento) e la ripresa/proposta di spezzoni del “parlato” della pellicola accompagnati musicalmente dal nostro e dai suoi synth.
Il gusto per l’utilizzo dei sintetizzatori rimanda in parte alle origini della musica con la quale Morgan si è formato (il pop elettronico in voga negli anni Ottanta). Dato che, in fatto di colonne sonore, la lista di compositori nostrani che hanno raccolto successo e riconoscimenti grazie ad un uso sapiente della “tecnologia” – soprattutto all’estero – è lunga, è legittimo che lo stesso Morgan aspiri a farne parte. Non è dato sapere se “Il suono della vanità” rimarrà un episodio sporadico nella sua discografia, ma al momento il primo tentativo risulta nel complesso convincente.
Va ricordato che la colonna sonora uscirà anche in una tiratura limitata e numerata, in versione super audio cd, con tanto di autografo dell’autore, inizialmente distribuita fra quegli artisti dai quali Morgan giudica di essere stato ispirato e a cui sente di dover qualcosa. Tutto sommato, un’altra originalità (del personaggio) – una Vanità o un sincero omaggio? – che sentiamo di non dover automaticamente stigmatizzare, ma di accettare, poiché dopo la copertura dei costi di produzione il rimanente incasso verrà devoluto in beneficenza.
MUSICA E DISCHI
Morgan
Non al denaro né all'amore né al cielo ****1/2
Produzione: Morgan
Columbia (Sony Music) 5197352
Decisamente Morgan conosce l’arte dello spiazzamento. E infatti questo suo nuovo progetto spiazza tutti e tutto: non un album di cover ma la cover di un intero album. E che album! Pubblicato nel 1971, Non al denaro né all’amore né al cielo era l’omaggio di Fabrizio De André al poeta Edgar Lee Masters e alla sua Antologia di Spoon River. All’epoca (Morgan non era ancora nato) l’album fece storia, suscitò emozioni e dibattiti, venne imparato a memoria da un’intera generazione di liceali e alcune canzoni (Un giudice, soprattutto) vengono ancora oggi considerate fra le più belle di De André. Ora Morgan affronta tutta questa ricchezza con la sapienza e la lucida incoscienza che in questi anni ha dimostrato di possedere: canta con una maturità straordinaria, rispetta l’originale ma ci mette del proprio. Rispetto all’edizione “fabriziana”, questa “morgana” è apparentemente meno declamata, meno “brechtiana”. Se De André aveva rispettato e accentuato la diversità dei caratteri di Masters, Morgan ne offre una rilettura più psicologica per la quale i diversi “morti sulla collina” sembrano più sfumature di un’unica grande anima. Tra tutte, la più riuscita è Un malato di cuore.
di Antonio Orlando
pubblicata su Musica & Dischi: n.686 - 2005/05 pp. 44
DELROCK
Ci sono dischi che non hai bisogno di ascoltare, ti basta sapere come sono fatti e che esistono. Questo di Morgan, per esempio, che più che un «progetto stravagante e paradossalmente inedito» (parole sue), sembra piuttosto un affettuoso e geniale gesto: ri-produrre minuziosamente un'opera famosa come l'album del 1971 di De André dedicato all' Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters. Un re-make puntiglioso e impegnativo, usando i suoni della nostra epoca musicale ma attenendosi con cura all'originale e al «pop barocco», dolente e beffardo, disegnato da De André con le tempere di Nicola Piovani. Morgan dice che «nella ricostruzione mi sono accorto di ripetere, raddoppiare, allungare, rallentare la velocità, amplificare elementi nascosti, svelare, smascherare citazioni e inserirne di mie» ma il gioco è così sottile che alla fine le due tele si sovrappongono quasi precisamente - per la gioia del ri-produttore, credo proprio, che a tanto aspirava, e la sorpresa e/o frustrazione di chi ascolta, che forse aveva immaginato un intervento più invasivo e stravolgente. «Non un disco di cover ma la cover di un disco. Non un disco ma una dis-cover». Morgan sembra aver coronato un vecchio sogno, rientrando in quell'appartamento in cui era nato il suo disco prima, che poi è la stanza delle fascinazioni infantili; ed è così fiero del risultato ottenuto da spingere all'estremo il paradosso - «lo considero il mio disco migliore».
Riccardo Bertoncelli
12.05.2005
BIELLE
Ben fatto, ma perché?
di Antonio Piccolo
Ben fatto, ma perché? Questa è la ovvia domanda che viene da porre, non dico nel sentire il disco, ma nel sentire la notizia dell'uscita del remake di "Non al denaro non all'amore né al cielo" di De André. Ossia, quello che il sottoscritto ha sempre considerato il miglior lavoro prodotto nella storia della musica italiana del '900. Perché, se proprio si vuole fare un atto d'amore a De Andrè - come è stato ribadito da Morgan e dalla Fondazione D'Andrè (che ha coordinato il progetto) - non si riprende interamente uno dei primi album, di quelli poco curati musicalmente, anziché questo?
La rilettura, in tal caso, deve essere una cosa spiazzante, che modifica completamente l’originale - azzardo comunque sconsigliabile per un lavoro così straordinario. Morgan è un musicista che sa il fatto suo, che unisce ad intuizioni d’avanguardia un’ottima preparazione classica: questo ci faceva sperare che la sua opera avesse quel rinnovamento che la rendesse interessante, anche se provocatoria o, persino, brutta. Macché. Un bel disco, sia ben chiaro.
Ma è un bel disco perché, in linea di massima, Morgan non scuce per ricucire, non sveste per rivestire, non imbianca per ridipingere. E’ un bel disco perché l’originale era tre volte più bello, e lui prende il materiale così com’era per adornarlo qui e lì. E per “materiale” non si intende parole e melodie, no! Si intende parole, melodie, ritmi e anche gli arrangiamenti eccezionali di quell’allora giovane genio che è Nicola Piovani.
Certo, rispettoso, viene da dire. E infatti lo è fin troppo se, spesso, i cambiamenti consistono in un basso dal suono più elettrico, sintetizzatori più moderni, ritmi allargati e cori polifonici. E poi, in sostanza, è anche un fatto di carisma e di presenza. Morgan forse sarà più intonato, eppure la sua voce non ha niente a che vedere con l’intensità delle interpretazioni di De Andrè, in generale, ma soprattutto in quel disco, dove più che mai diventa un cantante-attore.
Morgan non evidenzia e non ricerca il senso del testo, soprattutto quando ci dovrebbero essere rabbia, amarezza, rancore. Al massimo, riesce ad esprimere un senso disincantato e malinconico, cosa che lo rende particolarmente apprezzabile nell’interpretazione di “Un malato di cuore”, perchè quei sentimenti fanno parte dello spirito del brano stesso. Oppure è piacevole nel pezzo che, per armonia e ritmo, è la canzone più “nella norma”, ossia “Un matto”, dove gioca con la voce in perfetto stile-Locasciulli (ma è improbabile che Morgan sia esperto in materia). Studiato, eseguito con grande professionalità, con abbondanza di archi, fiati e clavicembali: bel disco, certo. Ma senza la creatività necessaria che dà un senso alla cover di un intero album. Tanto da non essere indispensabile nemmeno per gli ammiratori più fanatici di De Andrè.
Insomma, c’è poco da fare i conti e trastullarsi in pensieri filosofici: alla faccia dell’atto d’amore, l’intento appare più che altro commerciale. Tanto da parte di Morgan, che fa un occhiolino ad un pubblico - quello di De Andrè - su cui, evidentemente, non ha molta presa; tanto da parte della Fondazione, che fa altrettanto con il pubblico di Morgan.
Dove Morgan mette le mani con decisione, ne viene un risultato ottimo. Parliamo di “Un ottico”, dove l’interprete ci va giù in giochi ritmici e vocali, effetti psichedelici, per non parlare di una fantastica improvvisazione free-funk, eseguita dal gruppo Le Sagome. Occhiolino al jazz che offre un buono spunto anche ne “Il suonatore Jones”, grazie a piano e batteria. Perché Morgan non ha avuto la buona idea di fare la cover solamente di “Un ottico” in un suo nuovo album di inediti, come vero atto d’amore?
NEWSIC
NON AL DENARO, NON ALL'AMORE, Nè AL CIELO
Il coraggio di Morgan (cantante dei Bluvertigo) è dimostrato nel suo ultimo progetto: la pubblicazione di "Non al denaro, non all'amore, nè al cielo", la rilettura dell’album di Fabrio De Andrè del 1971, a sua volta liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters.
Un’operazione unica nel suo genere, il primo re-make discografico della musica italiana. Dopo l’esordio con “Le canzoni dell’appartamento” , la colonna sonora “Il suono della vanità”, Marco Castoldi, questo il vero nome di Morgan, ha deciso di dare una libera e personale interpretazione del disco “alla moda sonora contemporanea”. Un disco barocco, in totale contro tendenza con l’attuale scena musicale, ri-arrangiato e ri-prodotto da Morgan. Non è un disco di cover…ma una dis-cover.
Morgan ha fatto una ricostruzione filologica dell’opera, agendo sulla materia in maniera rispettosa, senza alterare le note, come il direttore d’orchestra quando esegue una partitura. Un disco completamente costruito da canzoni personaggio, uno schema molto amato da Morgan, già utilizzato per il brano “The Baby” e con i Bluvertigo…
L’artista ha anche trovato elementi di riconoscimento e autobiografici in ogni personaggio dell’album, come ad esempio l’analisi della religione del Blasfemo (un ateo intelligente) nel pezzo “un Blasfemo”; con il ‘matto’ e il ‘suonatore Jones’, due intellettuali uno il paroliere (matto) l’altro il musicista (Jones), in “il suonatore Jones”….
Tutti conoscono il lavoro originale di De Andrè, ora sarà la nostra coscienza a valutare l’operazione di Morgan; bocciare l’iniziativa valutandola un ‘azione azzardata chiedendosi “era proprio necessario?” , oppure dare il giusto merito alla maniacale ricostruzione ed esecuzione del rocker di Monza.
Le differenze principali tra la versione originale e quella di Morgan:
De Andrè
durata complessiva: 31’15"
numero brani: 9
Morgan
durata complessiva: 43’22”
numero brani: 17 (Nelle canzoni-suite c’è un ID all’inizio di ogni sezione)
Voto: 7
Carlo Cassani 02.06.2005
ROCKIT
Non al denaro non all'amore nè al cielo
Mescal / Sony BMG (2005)
di Carlo Pastore 31.05.2005
Non è semplice. Nel marasma dei tributi, nella folle rincorsa alla memoria e nel molto più naturale accostarsi ai modelli, non è semplice capire che cosa sia rivisitazione culturale, che cosa semplice ed onesta devozione ad un grandissimo e che cosa invece pura merda. Tutti sembrano riferirsi a tutti, e tutto si adagia su una mediocrità di fondo dilagante. Però poi c'è sempre la possibilità di stupirsi. Allora arriva uno che si metteva l'ombretto in un gruppo electro pop, ti piglia uno dei dischi più belli della storia e con una bravura fatta di tecnica e cuore - che non è nè mediocrità nè paraculaggine - riporta alle luci della ribalta e sul crinale dell'emozione la Storia.
Quando Fabrizio De Andrè pubblicava "Non al denaro non all'amore nè al cielo" correva l'anno 1971. Morgan non era ancora nato. I miei non si erano ancora conosciuti. Io ero solo un respiro affannoso in qualche progetto abbozzato a matita. Allora, già raccontava con la stessa poesia che lo ha consegnato agli annali della letteratura e della canzone di personaggi di confine, di bordo, di periferia. Di uomini e puttane, e di quelle storie che avrete letto in tutte le migliaia di articoli che gli hanno dedicato nel bene e nel male. Da grandissimo, da intellettuale ed artista superiore per sensibilità individuale e sentimento umano, da pittore solitario della realtà e giocoliere triste delle parole, il Faber di "Non al denaro" immergeva in una musica popolare e colta le vite di personaggi che alla vita erano arrivati per vie traverse e traballanti culle, uomini che nascevano nel letame come puzzolenti eppure meravigliosi e salvifici e autentici fiori.
Concept album. Lo definirono così perchè tutto era uno. La parte musicale, firmata Fabrizio De Andrè / Nicola Piovani, era una sequenza di storie musicali interconnesse. L'opera non si sfilacciava ma si rincorreva attraverso citazioni e rimandi, condivisione di note e ponti psichedelici. I testi, scritti da De Andrè con Giuseppe Bentivoglio, erano l'adattamento di nove dei 244 epitaffi che compongono l'intera Antologia di Spoon River, firmata da Edgar Lee Masters. Ciascuna canzone era un personaggio, e ciascun personaggio mostrava una sensibilità che andava oltre la semplice caratterizzazione.
Questo patrimonio non poteva andare perso. Dori Ghezzi - una vita dedicata ormai a mantenere viva l'opera del marito nel segno dell'oggi - lo sapeva, e sapeva pure che la vera audience di Faber sono i giovani, unico futuro possibile per canzoni dal messaggio eterno. Quale maniera dunque per trovare strade che parlino loro? Non portarli in un museo, ma creare su emozioni vecchie sensazioni nuove. Dori sapeva anche questo, e quando scelse Morgan per proporgli una rivisitazione personale di "Non al denaro" lo fece credendo che fosse il vero erede di Fabrizio e apprezzandone la sua personalissima maniera di interpretare il pop, ammiccante ma non vacua.
Castoldi dunque prese la palla al balzo, evitò le interpretazioni audaci, scansò i troppi intellettualismi noiosi si pose in atteggiamento di deferenza autorevole. Prese "Non al denaro", lo rifece da capo, aggiunse qualche riff, in "Un medico" ci mise il tema regio dell'"Arte della Fuga" di Bach e in "Un chimico" ci inserì il suo famoso canone. Praticamente, fece il primo remake della storia della musica italiana. Come San Paolo che parla di Cristo, folgorato sulla via di Genova. Con i suoi peccati alle spalle e con una nuova più autentica consapevolezza. Il risultato è questo disco: credibile, barocco, deferente ma tenace. Forse inutile per chi dopo De Andrè mette un punto a capo. Eppure, quando la rivisitazione originale e fedele di una tale immensa opera è condotta in cabina di regia con una mano così ispirata e una tecnica strumentistica e vocale tanto forte e poderosa, la cosa funziona. Per me, che sono un pivello incuriosito dal passato. Ma anche per chi, vecchio amante agganciato a quella fantastica voce, gradisce sentire come, anche nel 2005, dedicarsi ad una pagina di storia possa avere un semplice eppure importante senso.
BLOOMRIOT
Nel 1943 Einaudi pubblicò, con la traduzione di Fernanda Pivano, un libro di poesie di un poeta statunitense sconosciuto, dal titolo Antologia di Spoon River.
Nel 1971 Fabrizio De André riprese alcune di queste poesie e ne fece uno dei migliori album della sua carriera cantautorale: Non al denaro, non all’amore, né al cielo.
Questi due riferimenti sono fondamentali per capire l’opera di Morgan, il quale, esaltandone l’essenza orchestrale e poetica, ha riproposto nel 2005 l’album del cantautore genovese.
I quarantatre minuti del disco si diramano in diciassette pezzi, che danno l’impressione di trovarsi di fronte ad un’unica canzone: ci si sente quel signore che, persosi nel cimitero di Spoon River, ascolta le storie di coloro che sono dimorati in quel luogo. Le liriche sono rimaste quelle di Faber, senza alcuna variazione, così, una volta inserito il disco, ci si trova ad essere immersi prima nella presentazione del cimitero con Dormono Sulla Collina, per poi incontrare, nell’ordine: Un Matto, Un Giudice, Un Blasfemo, Un Malato Di Cuore, Un Medico, Un Chimico, Un Ottico, fino al saluto lasciato al Suonatore Jones. Marco Castoldi riesce a dar loro vita con un’interpretazione sofferta, coinvolta, ma soprattutto coinvolgente. L’ascolto è emotivamente carico e l’ascoltatore annega nelle storie di quei ritratti che, presentandosi in prima persona, diventano persone vere e proprie: amici, nemici, odiati e amati. Le musiche sono parte fondamentale in questa creazione di uomini, diventando i nervi e le ossa del loro corpo narrativo, non solo un contorno. Questo è stato colto a pieno da Morgan che, suscitando le critiche (ingiustificate) di molti, ha scelto, in collaborazione con Valentino Corvino, di non cambiarne le melodie, ma di valorizzarle. Per fare ciò hanno seguito due strade: da un lato hanno ritoccato e rimodernato gli arrangiamenti con ampliamenti strumentali e mani di elettronica (splendidi i sussurri di sottofondo a Un Matto), dall’altro hanno indicato come tracce singole alcuni strumentali quale, per esempio, L’Inverno di Vivaldi, che, in chiusura di Un Malato Di Cuore, sottolinea la storia di quell’uomo che si è visto calare il freddo sul cuore, una volta provato il primo amore.
Insomma, si può dire che Non al denaro, non all’amore, né al cielo consacra Morgan sia come esperto musicista, dato che lo studio che sta sotto questa riproposizione è estremamente approfondito nella ricerca di un suono nuovo che non rovini il gusto antico dell’originale, sia come interprete, dato che, con la voce sussurrata e accennata, ma anche piena e profonda, riesce a non far rimpiangere i bassi tremanti e coinvolgenti di De Andre.
Ciò che ne esce è un disco dai toni vibranti che, senza tradire l’originale, riesce ad avere una dignità propria e a prendere per mano l’ascoltatore fino a farlo sentire parte del viaggio narrato.
ROCKOL
“Il primo re-make discografico della musica italiana”, annuncia il comunicato stampa di presentazione del Cd. In effetti, siamo di fronte a un esperimento unico nel suo genere. Non che manchino, nella storia più recente della musica “pop”, gli interventi di restauro e di revisione storica dei classici (lo hanno fatto recentemente il Brian Wilson di “Smile” e il Mauro Pagani di “Creuza de ma”, altro capolavoro di Fabrizio De André: ma in entrambi i casi ad incaricarsene è stato un musicista coinvolto direttamente nella stesura del progetto originale). E in America, qualche anno fa, i Phish di Trey Anastasio avevano preso l’abitudine di celebrare le festività di Halloween riproponendo in concerto, pezzo per pezzo, pietre miliari del rock come il “White album” dei Beatles, il “Quadrophenia” degli Who, il “Remain in light” dei Talking Heads e il “Loaded” dei Velvet Underground. Morgan però è andato oltre, ispirandosi ai rifacimenti cinematografici e alle modalità con cui direttori d’orchestra e strumentisti classici tengono in vita la musica “seria”: il vecchio disco ispirato all’ “Antologia di Spoon River” lo ha studiato e metabolizzato, trascrivendo, analizzando, scindendone e ricomponendone le molecole sonore come un matematico o un piccolo chimico delle note. Quando l’album del grande genovese uscì, era il 1971, Marco Castoldi non era neppure nato. Ma chi è cresciuto in quell’epoca ne ricorderà perfettamente il forte impatto emotivo (capitò anche il miracolo di sentirselo proporre in classe da qualche insegnante di lettere particolarmente illuminato), la magia evocativa dei personaggi e delle parole (adattate sulla base delle traduzioni di Fernanda Pivano con il contributo di Giuseppe Bentivoglio: e chi si è dimenticato, tra i quarantenni/cinquantenni d’oggi, il rancoroso giudice nano, il suonatore Jones o la collina dove dormono le anime dei defunti?), l’ambiziosa, movimentata scrittura folk/prog/rock/barocca delle musiche composte assieme all’allora giovanissimo Nicola Piovani, che molte lune dopo avrebbe raccolto un premio Oscar per la colonna sonora de “La vita è bella”. Oggi, Morgan si è caricato sulle spalle il peso intero, badando personalmente a produzione, direzione d’orchestra e arrangiamenti, assumendosi la responsabilità di coordinare il gruppo di strumentisti (“le sagome”) e il quintetto d’archi (“l’orchestra scomposta”) che lo accompagnano lungo l’intero percorso. L’autostima, evidentemente, non gli fa difetto, ma non si può dire che non lo si sapesse. Sulle implicazioni e i risultati della singolare operazione si è già aperto un piccolo dibattito. Appropriazione indebita o giustificata, come sostiene l’interessato, dal carattere eminentemente popolare di un’opera entrata nel patrimonio condiviso degli italiani? Esercizio virtuosistico fine a se stesso o reinterpretazione geniale? Una premessa fondamentale è che l’operazione è stata non solo approvata ma persino istigata da Dori Ghezzi e dalla Fondazione De André, sigillo doc che taglia la testa al toro. E poi nulla vieta, in un contesto di libero mercato e di libero pensiero, di cimentarsi in una sfida di questa portata. A qualcuno è dispiaciuto che Morgan non abbia “osato” di più, plasmato creativamente a suo piacimento la materia: il monzese in effetti è rimasto fedele, fedelissimo alle partiture del ’71, e trovare le differenze tra l’uno e l’altro disco è un po’ come cimentarsi in quel vecchio giochetto da Settimana Enigmistica. Ma la sua non è neppure una copia carbone asettica, una clonazione inquietante e beffarda sullo stile delle cover che Todd Rundgren diede alle stampe nel 1976 con l’album “Faithful”. Ci sono piccole variazioni sul tema, che il musicista annota con dovizia di particolari nei suoi commenti al disco (se non lo ha già fatto, sarebbe utile li pubblicasse sul suo sito Internet, tanto aiutano a “leggere” il lavoro e le sue intenzioni): qualche avvicendamento strumentale, un flauto a coulisse al posto di un’ocarina, un theremin in luogo di una voce soprano; e poi pezze e pilastri di rinforzo agli arrangiamenti, i tempi rallentati, le “intro”, le code e le dilatazioni che allungano di dodici minuti circa la durata complessiva del disco, le riprese tematiche che servono a sottolineare il senso del “concept” e la ciclicità dei temi, vita e morte, scienza e religione, conformismo e libertà. “Un ottico”, mini suite onirico-psichedelica a ritmo cangiante, sembra fatta apposta per l’uomo dei Bluvertigo, che in una inedita coda strumentale in chiave funk jazz lascia i musicisti liberi, per una volta, di galoppare travolgendo i rigidi steccati delle partiture. E’ a suo agio e sembra divertirsi, Morgan, anche quando si tratta di sottolineare e amplificare le citazioni barocche e classicheggianti sparse da De André e Piovani (il Vivaldi de “Un malato di cuore”, il Bach di “Un medico”, il Pachelbel di “Un chimico”); alla danza popolare di “Un matto” imprime un tono più frizzante e giocoso, ad “Un giudice” una spinta ritmica più aggressiva con un cenno di boogie e rock blues. Nei titoli di maggior respiro melodico, “Un blasfemo” e “Un malato di cuore”, sembra di percepire nella sua voce un pizzico di emozione e di slancio romantico in più, rispetto all’esposizione asciutta e lineare di De André; in “Dormono sulla collina” una punta d’enfasi teatrale e un certo abbandono. Morgan assicura di non averlo fatto apposta e di considerarlo anzi un limite: ma sono proprio quelle increspature, quelle piccole frizioni a produrre un po’ di calore, a scongiurare che il tutto si riduca a un esercizio freddo e intellettuale che provoca ammirazione ma non coinvolge. Ha lavorato con grande cura dei particolari, il Castoldi, a partire dal packaging di copertina (peccato per il brutto, doppio refuso nel sottotitolo di “Un blasfemo”; e per quell’uso fastidioso e scorretto dell’accento grave invece che acuto sulla particella “né” del titolo: errore che, siamo andati a verificare, si replica dai tempi dell’album originale in vinile con la sola eccezione delle ristampe nella linea economica Orizzonte della Ricordi…). Ci ha messo competenza tecnica, probabilmente molte ore di studio matto e disperatissimo. Il giovane musicista (massì, ha solo 33 anni…), lo ha raccontato lui stesso, ha trovato facile identificarsi in personaggi come il matto e il suonatore Jones, e nella loro libertà creativa, soprattutto dopo che le sue “Canzoni dell’appartamento” lo hanno affrancato dal ruolo di rocker bistrato e post glam aprendogli le porte della canzone d’autore tout court. Ed è stimolante, la sua idea che le musiche e le parole di De André meritino di essere traghettate verso altri tempi e altri luoghi. Un’idea, appunto: la sua è stata inusuale, coraggiosa, insidiosa. Morgan, per beata incoscienza o presunzione che sia, s’è preso un bel rischio: e paradossalmente, proprio con il suo remake, si conferma uno dei pochi originali sulla piazza. Scommessa vinta, per quanto mi riguarda.
Alfredo Marziano
07.06.2005
KDCOBAIN
Dopo un album solista e due colonne sonore, il leader dei Bluvertigo con la benedizione di Dori Ghezzi e della Fondazione De Andrè, ha deciso di cimentarsi in una affascinante quanto rischiosa opera, ovvero quella di reinterpretare l'album più bello del famoso cantautore genovese Fabrizio De Andrè. Il disco uscito nel 1971 è un concept album ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, poeta americano che in questo libro ha raccolto 244 epitaffi di altrettanti personaggi che appunto "Dormono sulla collina", come recita il primo brano del disco.
De Andrè scelse nove di questi personaggi per adattare la loro vita in forma di canzone, ballata o mini-suite, ed assieme alla penna di Giuseppe Bentivoglio scrisse splendidi testi poi musicati da un giovane Nicola Piovani. Morgan si attiene quasi fedelmente all'originale, reinterpretando questo straordinario disco assieme alla sua band "le sagome". Il rischio di una operazione di questo tipo è quella di suscitare polemiche soprattutto da parte degli estimatori di De Andrè, ma le scelte di ri-arrangiamento operate da Morgan risultano perfettamente in linea con l'atmosfera che il disco ha sempre trasmesso da oltre 30 anni a diverse generazioni.
Nessuna rivoluzione quindi, tanto che Marco Castoldi ha addirittura ricercato le partiture originali di Piovani per potere essere più fedele possibile. Questa versione è quindi una sorta di restauro di una vera e propria opera entrata di diritto nella storia della musica italiana. Le uniche aggiunte consistono nella prima traccia dal titolo "Inizio", modellata sul motivo iniziale di "Dormono sulla collina", "L'inverno di Vivaldi" eseguito al clavicembalo subito dopo "Un malato di cuore", e "Coda" anch'essa modellata sul tema iniziale per dare una certa circolarità all'opera.
Poche sono sostanzialmente le differenze tra l'originale e questa nuova versione, e consistono più che altro in una dilatazione delle melodie e degli arrangiamenti. Un disco da ascoltare sia per chi si è commosso ascoltando la prima edizione di De Andrè, sia e a maggiore ragione per chi non ha mai ascoltato neanche l'originale. Morgan ha dimostrato anche questa volta le sue doti di ri-arrangiamento in veste di restauratore, in una prova difficile ma gratificante e decisamente ben riuscita.
Nicolò, 8.6.2005
OLTREMAGAZINE
Diciamo subito che Marco Castoldi, in arte Morgan, ha avuto coraggio. Cimentarsi nella reinterpretazione di una delle opere più famose e apprezzate di Fabrizio De André richiede forza d'animo, se non altro perché il rischio di una operazione di questo tipo è quello di suscitare polemiche da parte di un'intera generazione, che di quel disco ha fatto una vera e propria bandiera. Uscito nel 1971, il disco di De André è un concept album liberamente ispirato alla "Antologia di Spoon River" di Edgard Lee Master, poeta americano che in questo libro raccolse 244 epitaffi di altrettanti personaggi che, come ricorda l'ouverture del disco "dormono sulla collina".
Il leader dei Bluvertigo ripropone nel 2005 una versione riveduta sicuramente, ma non troppo corretta. Il disco di Morgan non è un disco di cover, ma la cover di un album intero che volutamente si mantiene il più fedele possibile all'originale; uguali le atmosfere, medesime le partiture di un Nicola Piovani allora ventiduenne, mentre il cantato mantiene intatta la magia che De André aveva saputo dare alla versione originale. Quella di Morgan non è una libera e personalissima rivisitazione "alla moda sonora contemporanea", tanto meno una trasformazione-deformazione che avrebbe condotto ad un totale stravolgimento. Morgan ha agito nel rispetto, mosso da curiosità e desiderio analitico verso la cosa "per ciò che è" e non per "ciò che potrebbe essere" e, come posto di fronte ad un'opera classica (nessuno si sognerebbe mai di "liberamente alterare" le partiture del Don Giovanni di Mozart nel serio e serioso universo della musica colta), ma alleggerito dal trovarsi a lavorare una materia "pop", ha operato una sorta di ricostruzione filologica, soltanto filtrata inevitabilmente dai suoi gusti, dai suoi mezzi, dalle sue possibilità.
Accompagnato dalla band "Le sagome" Morgan ricanta e risuona (nel disco si diletta col clavicembalo, col piano, ma anche con i sintetizzatori e col suo strumento più consono, il basso). "Non al denaro, non all'amore, né al cielo" restituisce all'ascoltatore una versione sapientemente restaurata, una sorta di atto dovuto, quello dell'artista che con estrema intelligenza e umiltà "ricalca" e non "rivisita" (sarebbe stato un atto di estrema presunzione) un Autore e la sua opera. Voto: 8.
Marco Pipitone
n.9 Settembre 2005