“A me basta vederli”, dice la ragazza nascosta sotto la cerata. “Salgono sul palco, li vedo per un minuto e me ne posso andare via felice”. Sta esagerando. Mancano dieci minuti all’inizio del concerto all’Autodromo di Monza, piove, ma nessuno vuole perdersi i Bluvertigo che suonano in casa, al Brianza Rock Festival di cui Morgan è direttore artistico. Alle 11 meno dieci i power chords di “Fuori dal tempo” spazzano via ogni desiderio di scappare: a vent’anni dall’esordio, i Bluvertigo hanno un grande sound, e per niente datato. Pur essendo in sei sul palco – Morgan (basso e piano), Andy (tastiere, sax), Livio Magnini (chitarra), Sergio Carnevale (batteria) e i musicisti aggiunti Marco Pancaldi (chitarrista ai tempi di “Acidi e basi”) e Megahertz (basso, tastiere) – il suono non è impastato, ma plastico e dinamico. Suonano bene e suonano bene assieme. E quando attaccano “(Le arti dei) Miscugli”, in una versione funk-rock molto fisica, finalmente smette di piovere.
La band brilla soprattutto quando i pezzi si basano sulle performance strumentali più che su quelle canore (vedi “Sotterraneo”). Morgan imbraccia il basso tenendolo dritto e distribuendo pose rock, mezzo Tony Levin e mezzo Gene Simmons (niente lingua, ma tante mani a corna). Lo suona con lo slap, percuote le corde con una bacchetta, fa tapping sul manico. Ma soprattutto tira fuori un suono fisico, carnale, dinamico. Al piano, dove s’accomoda saltuariamente, riesce ad avere l’eleganza contemporanea di un Mike Garson. La gente balla e canta i pezzi più famosi come “L’assenzio”, ma il concerto offre anche un salto all’indietro a quando “incisi un demo intitolato ‘Note del poeta fingitore’ e suonavamo in cantina io, Andy e Pancaldi”, come dice Morgan introducendo “L.S.D.” che si spegne col voiceover di Ruggero Orlando all’epoca dell’Apollo 13.
Il sestetto brilla nei pezzi più groovy, ma dimostra di avere anche buon gusto, vedi “Ideaplatonica”. Prima di eseguire “Il Dio denaro” per la prima volta in sedici anni, Mogan dice che all’epoca si vantavano molto delle loro capacità e, scherzando, che c’era solo un gruppo che suonava meglio dei Bluvertigo: i King Crimson. L’altra chicca del concerto è “Scimmia”, un pezzo di “Diesel” di Eugenio Finardi, che ha aperto il concerto coi Santa Margaret (stasera ci sono Subsonica, Bugo e Jack Jaselli, domenica 14 Afterhours, Io?Drama e Aim, occhio al meteo). Il cantautore non ama eseguirlo, comprensibilmente: è il resoconto crudo degli effetti della dipendenza da eroina. Finardi sale sul palco, ammette che è stato Morgan a convincerlo a rifarlo. È una versione viscerale, che aggiorna quella del ’77 con un riff potente.
Durante “La crisi” arriva un altro scroscio, il più violento. “Piove perché stiamo andando bene”, dice Morgan ed effettivamente è un ottimo concerto anche se la platea è mezza vuota - gli organizzatori hanno contato poco più di duemila presenze. C’è qualche momento morto, un paio di situazioni di incertezza, il cantante tende ad essere un po’ logorroico e Magnini preme per riprendere a suonare, ma è evidente che è una reunion felice e priva di nostalgia grazie a musicisti che hanno sì cominciato più di vent’anni fa, ma riescono ancora a stare dentro il loro tempo. Si chiude con “Andiamo a Londra”, l’inedito presentato il 1° maggio, un pezzo divertente, ma privo della forza di quelli vecchi che dovrebbe essere incluso nel prossimo album “Tuono - Tono, tempo e suono”. Il suo “lailala” un po’ pacchiano e ripetuto alla noia chiude il concerto prima dei bis: “Always crashing in the same car”, in cui Morgan imita Bowie, e “Altre forme di vita”, che manda tutti a casa con un finale possente dopo un paio d’ore. E insomma, i Bluvertigo sono in forma. Musicalità, intelligenza, ironia: non dovrebbe essere tutto così il pop?
(Claudio Todesco)
Rolling Stone Italia, 8 Giugno 2015
L’ultimo giorno di festival al Circolo Magnolia, MI AMI?
La terza giornata della rassegna estiva milanese che si è concluso il 7 giugno con Morgan, Wow e Rachele Bastreghi
Morgan
In due parole: Il bello della non-diretta
Sale sul palco imbracciando una Firebird rossa e attacca con Contro me stesso. Ed è proprio perché Morgan è contro se stesso che ci piace così tanto: da lui il pubblico si aspetta l’imperfezione, cerca il forellino nel costume da istrione per sbirciare nel suo profondo. Per questo nessuno a parte lui si preoccupa troppo per i piccoli disguidi tecnici con i quali il concerto inizia (qualche cavo fa crac, la chitarra a tratti scompare). Ad accompagnarlo ci sono il produttore padovano Megahertz e il chitarrista Marco Carusino (ha appena finito di suonare con Rachele Bastreghi, ma forse si sta allenando per la maratona). Anche se Morgan è visibilmente sobrio qualcuno chiede al vicino «ma secondo te adesso è fatto o no?» - perché è una domanda di rito, perché in Morgan è fortissimo il fascino della trasgressione. E perché lui è Orfeo, e il pubblico è pieno di Menadi, che provano nei suoi confronti un amore che tende alla distruzione. Questa sera di Orfeo Morgan ha anche la voce: a Contro me stesso seguono Crash, The baby, Non arrossire e poi finalmente Altrove; tutte riarrangiate, cantate e suonate benissimo. Poi è il momento delle cover: Lontano lontano di Tenco e una Psycho Killer a sorpresa, durante la quale Megahertz passa dal theremin al basso e si lancia con Morgan in un dialogo a suon di slap. Ad un certo punto un ragazzo fra il pubblico urla ironico verso il palco «Morgan, fanculo a te e tutti quelli sotto major!». Risposta: «Ma io non sono più sotto major. Questa però l’ho scritta con i Bluvertigo, quando eravamo sotto major» - ride e comincia a suonare Altre forme di vita. Quando sembra che il concerto sia finito, senza lasciare quasi il tempo di chiedere il bis parte una cover di Space Oddity di Bowie che fa quasi commuovere. Insomma Morgan è quell’artista capace di passare in modo organico da una cover di Tenco a una dei Talking Heads facendo risuonare in ciascuna la proprio personalità, e questa sera ha anche risposto a tutti coloro che lo dipingono come “ormai senza voce”. Non sarebbe tuttavia corretto dire che questa esibizione è stata perfetta: non è quello che Morgan sta cercando, tantomeno il suo pubblico. A Morgan non dobbiamo chiedere di essere incredibile, perché la sua forza è quella di essere credibile. Forse più di tutti, qualsiasi cosa faccia.
Allmusicitalia.it, 22 Maggio 2015
Caro MORGAN, si muore un po’ per poter vivere.
Caro Marco (in arte Morgan).
Inizio dicendo che come, come te, vengo spesso definito un caso patologico. E come te, il mio privato, viene spesso confuso, in questa epoca idiota, con il pubblico.
Non entro nel merito della tua sparata su un talent. Che per anni, a mio parere, anche del tuo essere artista maledetto, delle tue pubbliche inquietudini, ha campato. E sempre a mio parere, non sei stato certo tu “l’indegno” o “l’ambiguo” in questo contenitore. E io e te lo sappiamo. E non solo io e te.
Per anni ho lavorato in luoghi televisivi, la linea editoriale dei quali, umiliava la mia anima e mortificava la mia intelligenza. Ma mi pagavano. E bene. Quindi ci ho lavorato. Per vivere. O sopravvivere. Perche’ siamo in un’epoca di sopravvivenza. Non di vita. Quindi non mi scandalizzo per il lavoro che hai svolto per anni. A mio parere molto piu’ seriamente di altri. E della tua “diversita’” artistico intellettuale in molti ci hanno campato e mangiato.
Sei uno che ti metti nei casini. E te lo scrive uno che si mette nei casini. Questione di dna…di indole. Ti considero talento puro. Uomo colto. E leale. Soprattutto con gli altri. Esserlo con se stessi è una mission impossibile. E sei anche un uomo puro. Quindi fragile. Quindi massacrabile da chiunque.
La mia e’ una lettera d’amore. Da uomo a uomo. Non ti conosco di persona. Ma ti voglio bene e ho immenso rispetto di te. E della tua arte. Il resto è solo merda per il popolino.
Nel 2015… essere diversi dagli altri… è ancora… schifosamente… un reato.
Un abbraccio di liberta’
Enrico Nascimbeni
Morgan Marco Castoldi
De André e Tenco: un confronto attraverso la poesia
(Il testo contiene un estratto dal volume “IN pARTE MORGAN” di Marco Morgan Castoldi e Mauro Garofalo edito da Elèuthera nel 2008)
Prima di arrivare a parlare del parallelo occorre distinguere, intanto, la carriera di De André in fasi: la prima è quella delle canzoni sparse, dove Fabrizio riprendeva i vecchi madrigali, le forme antiche, le canzoni dei trovatori. È l’epoca della poesia, a cui si ispira come testo e come struttura. A quel periodo appartengono, per esempio, le canzoni "La Storia di Marinella" o "La Preghiera in Gennaio".
La seconda fase è quella dei concept album, dove l’idea era sviluppata integralmente nell’arco del disco, sia per legame letterario che musicale. Questi lavori erano organismi interi, immaginifici, con un’ambientazione spazio-epoca-regione molto dettagliata e immediatamente riconoscibile. Qualcosa di simile a un film senza film, solo colonna sonora. Nel 1968, pubblica l’album "Tutti morimmo a stento" con l’orchestrazione del maestro Gian Piero Reverberi. È questo il momento in cui De André crea arrangiamenti tragici ed elegantissimi, in cui lo stile è barocco, rock, sanguinario, violento, sinfonico, epico e lirico. I temi sono tutti forti, si occupa dei miserabili. L’album è un Tutto intero, un’unica utopia del notturno che, secondo me, insieme a quello tratto dall’"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters, "Non al denaro non all’amore né al cielo" rappresenta la punta più alta di De André, in cui ogni brano è un pezzo raro. Siamo di fronte ad Anna Karenina in letteratura: opere d’arte da guardare quasi con timore, dove inizia a sperimentare un linguaggio definitivo, che parte da "Il cantico dei drogati", in cui c’è l’auto-misericordia e una tremenda consapevolezza della propria miseria finanche una disperata richiesta di aiuto, fino alla frase di "Recitativo (Due Invocazioni e un Atto di accusa)": «Uomini, poiché all'ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran, guarda il villano finché non sia maturo per la falce». Sembra Dante. E poi, subito dopo, la sua poetica svolta in politica con l’album "Storia di un impiegato" e le sue canzoni, tra cui "Il Bombarolo".
La terza fase è quella etnica che comprende gli album della maturità: inizia con l’album "L’indiano", dove collabora con Massimo Bubola, e termina con i tre grandi capolavori etnici quali "Creuza de mä", "Le nuvole" e "Anime salve", cioè i dischi della maturità.
Morgan presenta il Brianza Rock Festival e e si scaglia contro X Factor: “Non iscrivetevi, è solo mercato”
"Non iscrivetevi ai talent show, non iscrivetevi a X Factor. Ascoltate il consiglio di uno che conosce quella roba: se volete una chance nella vita, non prendete quella strada”. Morgan è sintetico ed esplicito, nel criticare il programma di cui quest’anno non sarà più giudice, per la seconda volta in nove edizioni italiane del talent, la cui nuova giuria è stata presentata la settimana scorsa.
L’occasione è la presentazione del Brianza Rock Festival, di cui il cantante dei Bluvertigo è direttore artistico, e che vedrà i suoi Bluvertigo headliner della serata del 12 giugno, all'autdromo di Monza (qua il programma completo, che vede anche Finardi, Subsonica, Bugo e Afterhours).
“Dopo anni di X Factor sento le voci”, scherza Morgan. “E qua di voci ne abbiamo. Come direttore artistico del Festival la prima scelta è stata Bugo. E’ il più bravo cantautore degli ultimi cinque secoli, passerà alla storia”, dice con a fianco il cantante - che pubblicherà un nuovo album in autunno. Bugo minimizza, giocando come sempre sul suo nome (“Bugo sì, ma quale?”). Poi Morgan continua: “La televisione, che io ho frequentato negli ultimi tempi, è lontana da questo talento, perché si occupa solo di mercato”, spiega. Morgan per l’occasione ha rielaborato il nuovo singolo dei Bluvertigo “Andiamo a Londra” in un jingle per il festival (Andiam, andiam andiamo a Monza”, si sente nel video trailer della manifestazione - che potete vedere qua in fondo).
Presente in conferenza stampa anche Eugenio Finardi, per il quale Morgan ha parole adoranti: “Finardi è già storia, ma è uno dei pochi che fa ancora dischi degni di questo nome, è uno dei grandi cantautori italiani. E’ la prima volta che ci incrociamo in un festival, magari condivideremo anche il palco. Siamo sempre stati suoi fan, agli esordi della carriera non ci sembrava vero di avere lo stesso produttore”, aggiunge Morgan, dice ricordando Angelo Carrara. Finardi prende la parola per sottolineare l’importanza della location: “Sono legato da ricordi infantili al parco della Villa Reale e all’autodromo, lì mi furono scattate le prime foto della mia vita. E’ importante che torni ad essere un luogo di cultura, intrattenimento e sport. Una volta la Brianza era uno dei poli del rock, negli anni ’80 il castello di Carimate era uno dei più importanti studi di registrazioni al mondo. Negli anni ha perso teatri e luoghi per fare musica, spero che questo festival faccia tornare la voglia alle amministrazioni locali di fare musica in questa parte della lombardia”.
L’assessore della Regione Fabrizio Sala promette investimenti sull’autodromo, al di là del gran premio: che diventi un luogo per concerti oltre al Brianza Rock Festival? Intanto l’organizzatore Roberto Masi annuncia che la data di Manu Chao, fuori dal Festival e organizzata assieme a Vivo concerti il 20 giugno, ha già venduto 40.000 biglietti.
Obliosamente 2.0!Il viaggio verso Monza!Brianza Rock Festival 2015Autodromo Nazionale MonzaTre serate all'insegna del Rock D'Autore#andiamandiamandiamoamonza
Posted by Brianza Rock Festival on Sabato 16 maggio 2015
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